Si farà il registro tumori in Campania
vittoria dei comitati
di
Davide Schiavon
Giro a vuoto per dieci minuti tra i giardini dell’istituto oncologico Pascale, credendo che l’appuntamento sia all’interno dell’ospedale. Da una cancellata poi vedo la lunga catena che va velocemente intrecciandosi. Saranno circa duecento le persone accorse oggi per manifestare contro l’impugnazione, decisa dal governo Monti, della legge regionale che istituisce il registro tumori in Campania. In realtà la manifestazione si è trasformata in un brindisi celebrativo, visto che già nella serata di ieri si è appreso che il registro dei tumori sarebbe stato istituito per decreto, grazie all’intervento diretto del governatore regionale Stefano Caldoro. Una vittoria dunque, anche se parziale, per tutti i cittadini presenti e che da anni si battono per il registro, strumento decisivo per associare scientificamente – e inequivocabilmente – l’elevata incidenza di malattie tumorali in Campania con l’inquinamento del territorio. E poi procedere finalmente alla bonifica senza scuse. Al mio arrivo a tenere banco sono le dichiarazioni dell’oncologo Marfella, accerchiato da molti cronisti. Accanto a lui il parlamentare Barbato di Italia dei Valori. Insieme discutono dei costi del registro. La decisione del governo nasce, infatti, da una valutazione economica. Un milione e mezzo di euro – questa la spesa prevista per l’attivazione – sono sembrati troppi al ministro Clini. «Un milione e mezzo di euro è troppo? Il governo ha erogato quattro milioni alla Regione Campania per il restyling del sito istituzionale!», spiega Barbato. «Noi vogliamo che le istituzioni facciano il loro dovere e tutelino la salute pubblica. Ciò significa non ostacolare la creazione di un registro regionale dei tumori. È finita l’epoca degli studi, ora c’è bisogno d’azione», replica Marfella. Una signora racconta le disgrazie della propria famiglia e promette di lottare fin quando avrà voce. “Signore, non perdonarli perché sanno quel che fanno”, recita uno striscione. Il clima è comunque più disteso del solito, una battaglia è vinta anche se tutti quelli con cui parlo ribadiscono che «c’è bisogno di continuare a presidiare i territori, andare avanti fino a quando non ci saranno le bonifiche». Un gruppo di donne cerca di farmi togliere il vizio del fumo guardandomi come se stessi già morendo. Mi stupiscono due signori che discutono animatamente dei tempi di decadenza di un isotopo. Uno è un medico, l’altro un attivista del comitato di Chiaiano, e tra i due è il dottore quello in difficoltà. Alla discussione si aggiunge Marfella, che viene accusato di aver ammorbidito la sua posizione anti-inceneritori negli ultimi mesi. «Io sono quello che ha fatto chiudere più inceneritori in tutta Italia», è la semplice ma efficace difesa. Il problema è che spesso si tende ad accomunare rifiuti urbani e rifiuti industriali. Per i secondi, spiega l’oncologo, è difficile poter pensare a un piano “rifiuti zero”, e «se tu sei in grado di portarmelo, io ti bacio i piedi». Pochi minuti sono concessi a telecamere e fotografi: si stappa una bottiglia di spumante per festeggiare un atto politico significativo. La catena si riallaccia, le Mamme vulcaniche lanciano cori: “La gente come noi non molla mai”. Chiedo cosa ne sarà dei territori dove l’elevata percentuale di tumori sarà dimostrata essere effetto dell’inquinamento dei terreni. Marfella mi dice che ad Acerra, per esempio, si doveva fare una scelta già anni fa: non è possibile far coesistere un’area industriale così grande con le aree agricole a pochi metri. Quei terreni, una volta così fertil ora possono essere utilizzati solo per coltivare prodotti non commestibili. «Potrebbero creare borse di canapa ad Acerra, se però fai crescere le zucchine è chiaro che te le ritrovi avvelenate». Dopo poco più di un’ora la catena si scioglie, alle due e mezza restano pochi gruppetti a chiacchierare. Le sigle in mostra sono diverse, anche bandiere di partito. Una piccola controversia nasce tra una signora che sventola la bandiera del Movimento 5 Stelle e alcuni attivisti. Il problema è che troppo spesso queste beghe interne pregiudicano la riuscita di un movimento che, nelle intenzioni, dovrebbe far fronte comune. Invece, complice forse l’aria celebrativa che si respira, ecco che si dividono: da una parte eoborbonici e Insorgenza civile, dall’altra i Radicali, poi ecco i Verdi… Magari è solo un’impressione, mi dico.