venerdì 27 settembre 2013

Del Boca - L'Italia bugiarda






Abbiamo spesso detto e scritto che Lorenzo Del Boca, scrittore, storico e già decennale presidente dell’ordine dei giornalisti, era il simbolo di come poteva e doveva essere unita l’Italia: nel reciproco rispetto di storie, tradizioni e verità storiche. Fin dalle prime telefonate, più o meno 20 anni fa, con il suo inconfondibile accento piemontese, mi aveva fatto capire la sua passione sincera di fronte alle tante bugie del cosiddetto “risorgimento”. Di lì a poco sarebbero stati pubblicati i primi due best-seller di un filone sempre più vivo e sempre più seguito: “Maledetti Savoia” e “Indietro Savoia” (già nei titoli tutto un programma chiaro e inequivocabile). Da lì ad oggi ci siamo ritrovati spesso a “combattere” dalla stessa trincea e contro gli stessi “nemici”: quelli che Pierluigi Battista definisce (nella prefazione dell’ultimo libro di Lorenzo) i “censori dell’ortodossia, i sacerdoti della verità ufficiale” con tanto di “timbri di Stato”. 
E, aerei permettendo, Lorenzo è sempre disponibile a “combattere” e, dopo il “combattimento”, a trascorrere ore notturne e piacevolissime tra una pizza e un Ferdinando II di Borbone,  un Conte di Cavour e un buon caffè, tra il nostro Napoli e la sua (nessuno è perfetto…) Inter, come solo i vecchi e veri amici sanno fare. 
E’ appena uscito un nuovo libro di Lorenzo Del Boca che, per Neoborbonici (e non) ha già nel titolo mille motivi per essere acquistato: “L’Italia bugiarda. Smascherare le menzogne della storia per diventare finalmente un Paese normale” (Piemme, 2013). Come non essere d’accordo? Dall’unificazione alla Prima Guerra Mondiale, dal fascismo alla resistenza, dalla Costituzione alla (prima e seconda) repubblica, il libro fornisce le password giuste, nel consueto stile carico di rabbia e di ironia, per riconoscere e smascherare le tante (troppe) bugie della nostra storia. E lavori di giornalisti “curiosi e irriverenti” come questo in Italia più che altrove sono davvero indispensabili, a prescindere da quello che pensano i sacri “depositari della verità ufficiale”. E così quelle pagine ci raccontano i massacri dei meridionali (“i fratelli liberatori fucilatori dei fratelli liberati”), la distruzione dell’economia del Sud,  le differenze dei bilanci napoletani e torinesi, gli scandali riferibili ai Mazzini o ai Cavour, i misteri dell’alta finanza da Bastogi ad oggi, con i puntuali e preziosi collegamenti tra passato e presente… Dopo il fallimento dell’Italia della retorica e delle bugie, Del Boca e il suo libro rappresentano una provocazione necessaria e una vera speranza per il futuro  di un Paese che vive una crisi che non è solo economica e che può trovare, anche grazie a libri come questo, strade veramente nuove per un riscatto atteso da troppo tempo. 

 Gennaro De Crescenzo




martedì 17 settembre 2013

Movimento Neoborbonico - Venti anni di Battaglie



Quello di sabato 26 ottobre 2013 sarà sicuramente un evento molto bello, ma sarà l’unico organizzato da noi. Non ci è sembrato giusto distogliere ulteriori risorse umane e finanziarie dal fronte delle attività che, proprio in questi ultimi tempi, ha raggiunto sensibili livelli di impegno.  
Tuttavia va festeggiato questo nostro Movimento, questa nostra comunità identitaria grazie alla quale la fitta cortina di omissioni e menzogne storiche è stata diradata; grazie alla quale prima di sparlare ed offendere la nostra dignità di Popolo e di Nazione oggi, molti tromboni scordati e “servi del mendacio”, ci pensano su un bel po’ di volte.
Ne abbiamo fatta di strada, basta guardarsi dietro per capire da dove siamo partiti e osservare cosa abbiamo ottenuto per capire dove siamo diretti. Se oggi tutti i mass media sanno chi sono i Neoborbonici e cosa propongono; se oggi siamo l’unico, autentico ed incorrotto punto di riferimento per centinaia di migliaia di fratelli ritrovati; se oggi siamo l’unica realtà associativa identitaria ad aver trapassato ogni ostacolo ed impedimento, è solo perché la meta che ci siamo prefissati fin dal primo momento è il solo vero obiettivo che ci muove: il riscatto identitario della nostra Gente attraverso il risveglio delle coscienze.
Un saluto a tutti i nostri iscritti, amici e simpatizzanti, con la speranza di ritrovarci tutti a Napoli in una magnifica festa identitaria. 

Che Dio ci aiuti.




sabato 7 settembre 2013

Terremoti e Borbone




Edifici borbonici del '700 
superano test antisismici

E' il risultato di alcuni studi che hanno riguardato il palazzo del vescovo di Mileto. Grazie alle indagini del Cnr e dell'Università della Calabria è emerso che una delle pareti, realizzate secondo le regole edilizie di circa 200 anni fa, non ha ripercussioni in caso di scosse. Il metodo potrebbe essere applicato per la costruzione di edifici moderni

MILETO (Vibo Valentia) - Gli edifici antisimici costruiti dai Borbone hanno una straordinaria capacità di resistere ai terremoti e la tecnica edilizia usata circa 200 anni fa potrebbe essere applicata agli edifici moderni, garantendone stabilità e sicurezza. Lo dimostra il test antisismico condotto su una parete del palazzo del Vescovo di Mileto (Vibo Valentia), ricostruita fedelmente in laboratorio.
A condurre l’esperimento è stato l’Istituto per la valorizzazione del legno e delle specie arboree del Consiglio Nazionale delle Ricerche (Cnr-Ivalsa) di San Michele all’Adige (Trento) in collaborazione con l’università della Calabria. La parete è stata ricostruita, come il palazzo del Vescovo di Mileto, seguendo le indicazioni del regolamento edilizio dei Borbone adottato dopo il catastrofico terremoto del 1783, che distrusse gran parte della Calabria meridionale e fece circa 30.000 vittime. 
E’ poco noto, sottolinea il Cnr, ma dopo questo terremoto i Borbone adottarono il primo regolamento antismico d’Europa, circa 200 anni prima delle nostre norme sulla sicurezza degli edifici. Il regolamento, prosegue il Cnr, raccomandava l'utilizzo di una rete di legno nella parete in muratura. L'efficacia del sistema si dimostrò durante i successivi terremoti che colpirono la Calabria. Non ha mai subito danni neanche il palazzo del Vescovo di Mileto. 
Nei test meccanici la parete del palazzo ricostruita in laboratorio ha mostrato un eccellente comportamento antisismico. La ricerca, osserva Ario Ceccotti, direttore di Ivalsa e responsabile scientifico del progetto insieme a Raffaele Zinno, dell’ateneo calabrese, “ha mostrato che un sistema costruttivo ideato a fine Settecento è in grado di resistere a eventi sismici di una certa rilevanza e che questa tecnologia, compiendo i dovuti approfondimenti e adottando sistemi di connessioni innovativi, potrebbe essere applicata a edifici moderni garantendone stabilità e sicurezza”.

mercoledì 04 settembre 2013
Fonte: Il Quitidiano della Calabria


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Le prime leggi antisismiche? 
Borboniche, ovviamente.



Il CNR ha confermato quanto spesso sostenuto anche dal Movimento Neoborbonico: le prime vere ed efficaci leggi e costruzioni antisismiche furono opera dei Borbone... Allegati i link dell'articolo de Il Denaro (lancio Ansa) e link dell'articolo che già pubblicammo nel 2009 a conferma di un altro dei grandi e importanti primati borbonici. Un primato, al contrario di quanto spesso sostiene la storiografia ufficiale, non è mai un caso ed è sempre il frutto dell'armonia tra chi governa e chi è governato. La verità storica vince sempre e... avanza. 




Nella foto i prototipi borbonici del 1783



http://denaro.it/blog/2013/09/04/cnr-le-migliori-norme-antisismiche-sono-borboniche-e-risalgono-al-1783/ 

http://www.neoborbonici.it/portal/index.php?option=com_content&task=view&id=3449&Itemid=99

 Costruzioni antisismiche e New Town? I Borbone già le realizzarono…

Anche in occasione dei frequenti terremoti che colpirono l’antico Regno delle Due Sicilie, i Borbone dimostrarono buone capacità di governo e operarono scelte utili che ancora oggi si potrebbero definire all’avanguardia. Di fatto si trattava della prima legislazione antisismica in Italia. Riportiamo solo qualche esempio.

 [lettera pubblicata su Il Giornale del 17 c.m.] Gennaro De Crescenzo.


Il 5 febbraio del 1783 una violentissima scossa di terremoto aveva colpito l’intero Sud dell’Italia (30.000 le vittime nella sola Calabria) dopo una crisi sismica durata diverse settimane e che aveva causato voragini, inabissamenti di paesi e colline, deviazioni di fiumi e maremoti. Ferdinando IV avviò un programma di soccorso, assistenza e ricostruzione che rappresenta ancora oggi un modello di efficienza. Le popolazioni furono immediatamente alloggiate in baracche; partì un’opera ciclopica di prosciugamenti, bonifiche, ricostruzioni e costruzioni (case, strade, mulini, forni, magazzini). Furono “rilocalizzati” circa trenta centri urbani che sorgevano in aree a rischio e con nuove norme edilizie che prevedevano un sistema di travi riempite che rendevano antisismiche le costruzioni (le “case baraccate”) come antisismici erano i principi urbanistici (edifici di un piano intelaiati in legno e con muri perimetrali compatti, strade regolari e che si incrociavano ad angolo retto, piazze centrali per i mercati, molti spazi aperti). Per la ricostruzione, poi, fu istituita, una Cassa Sacra che incamerò rendite e beni ecclesiastici calabresi con poteri autonomi e con la possibilità di governare direttamente sul territorio e di eliminare lungaggini e danni della burocrazia. Un altro esempio: il violento terremoto che nel 1851 distrusse la città di Melfi e i paesi vicini. Dichiarata l’emergenza, partirono raccolte pubbliche e private di fondi: ogni amministrazione dello stato fece la sua parte economica e una speciale commissione fu nominata dal Re per coordinare gli interventi. Ferdinando II, seguendo la sua consueta volontà di governare direttamente e in prima persona, per otto giorni si recò a visitare i luoghi del disastro con il figlio Francesco e il Ministro per i Lavori Pubblici, provvedendo personalmente per i casi più disperati. In un anno la ricostruzione era già stata completata.  Il 16 dicembre del 1857, poi, un violentissimo terremoto colpì una vasta zona compresa tra  il Vallo di Teggiano e la Basilicata. Duemila i morti solo a Polla. Sempre Ferdinando II, superata la fase dell’assistenza, predispose la costruzione di una nuova città (una sorta di avveniristica “new town”) per trasferirvi i sopravvissuti. Si trattava delle famose “comprese” di Battipaglia: delle vere e proprie colonie agricole in territori per i quali già dal 1855 erano stati avviati interventi di bonifica. Si provvide, allora, alla  “sistemazione delle acque e dei terreni, dai monti fino ai fondi delle valli e ai litorali e coste marine, ai i rimboschimenti e alle arginature, ai consolidamenti delle frane, allo sviluppo della viabilità e al risanamento igienico del suolo mercé la cultura”. Il luogo prescelto era quello della piana del Sele: davanti al complesso abitativo era prevista una larga piazza con aiuole e lungo i lati altri edifici; per consentire una esposizione ottimale ai raggi del sole le misure dei cortili  erano proporzionate a quelle degli stessi edifici; furono realizzati anche una pavimentazione con ciottoli, strade e un canale di irrigazione per il lavaggio del fondo stradale; furono anche costruite cisterne per la raccolta di acqua piovana che, purificata attraverso filtri, veniva resa potabile. Venti, nel complesso, i corpi di fabbrica; ogni abitazione era composta da quattro stanze, due a piano terra e due al primo piano, collegate tra di loro da una scala in legno; muri intermedi univano le “comprese” e formavano dieci cortili che accoglievano anche i servizi igienici e forni per tutta la comunità. Per ogni famiglia, infine, fu prevista l’assegnazione di “5 moggi di terreno di antica misura”. La colonia doveva accogliere 120 famiglie vittime del terremoto: 80 della Basilicata e 40 della Provincia del Principato Citeriore. Dopo l’unificazione italiana cambiarono anche i criteri per l’assegnazione e, come riportato da molte riviste scientifiche del settore, fu abbandonata la legislazione adottata dai Borbone in materia di prevenzione e di assistenza per i terremoti.






giovedì 5 settembre 2013

Raffaele Rago


Raffaele è stato uno dei più assidui e preziosi collaboratori esterni della nostra Redazione e del nostro Movimento. Oltre alla sistematica segnalazione di articoli, libri e tutto quanto interessava la nostra Terra e, soprattutto, la nostra storia, egli curava la correzione di articoli complessi e delicati della Rete, suggeriva la realizzazione di nuove rubriche, come “Dalla Storia”, tracciandone le caratteristiche anche redazionali. Ma, soprattutto, teneva il polso alla vena editoriale del Notiziario, scandendone il tenore critico e l’incisività.
Se ne è andato improvvisamente, lasciando un vuoto culturale ed umano senza precedenti.
Ma le sue tracce emergono di tanto in tanto con quella stessa semplicità e garbo che lo hanno sempre distinto quale persona perbene e cordiale.
Il dott. Michele Nigro ci ha fatto dono di una bellissima nota che siamo onorati e felici di proporre a tutti voi.
  



L’altra storia di Raffaele Rago

Raffaele Rago è stato un appassionato revisionista storico filo-borbonico fino a un attimo prima di essere prematuramente additato dalla grande mietitrice che passa e falcia senza considerare i nostri progetti, i nostri interessi culturali, i sentimenti vissuti e l’esperienza accumulata durante l’esistenza. A testimonianza di questa costante ricerca storica e umana, che solo la morte poteva interrompere e non certamente la mancanza di fervore o di argomenti, vi è l’ultima pubblicazione di Raffaele intitolata “Dal regno dei fiori al regno della miseria” e realizzata con l’amico Francesco Innella (edita da ilmiolibro.it e curata da Pasquale Giuliani). Anche dal letto d’ospedale, raccontano parenti e amici, Raffaele Rago ha fornito fino all’ultimo indicazioni su come migliorare un’opera che in cuor suo forse rappresentava una sorta di testamento o di invito a proseguire un discorso inesauribile su un periodo storico sovrastato da ombre e omissioni. 
Le reali condizioni di vita nel tanto vituperato Regno delle Due Sicilie; le motivazioni più affaristiche che patriottiche alla base della cosiddetta “unità d’Italia” (unità che oggi, paradossalmente, viene messa in discussione da una formazione politica pseudo-federalista nata nella stessa area geografica in cui durante il Risorgimento prese vita l’idea impellente di unificare la penisola italica!); la figura sopravvalutata ed eroicizzata di Garibaldi; le bugie inventate sul fenomeno del “brigantaggio” catalogato frettolosamente come evento delinquenziale e terroristico, e mai interpretato dagli storici di stato come un legittimo (e partigiano) tentativo di ripristinare una condizione politica antecedente all’unificazione (non a caso nella suddetta pubblicazione di Rago e Innella viene evidenziata la figura del “brigante-politico” Giuseppe Tardio, nato a Piaggine); i campi di concentramento ideati dai Piemontesi in cui furono internati migliaia di meridionali; l’emigrazione post-unitaria quale sintomo della debolezza economica di una nazione acerba: questi e tanti altri argomenti rappresentavano (dati alla mano!) le “munizioni” culturali utilizzate da Raffaele Rago nel corso delle sue pacifiche battaglie revisionistiche. 
Raffaele aveva insegnato nelle scuole: senza mai mettersi in cattedra, anzi scendendo da questa proprio per dialogare più comodamente e in maniera diretta con i propri studenti, cercava (uno su mille!) di insegnare quella che egli amava definire “l’altra storia”, andando al di là dei programmi ufficiali e dei testi consigliati dal ministero e scritti dai vincitori. Scrive Rago nella pubblicazione sopra citata: <<… Di certo i Piemontesi mai e poi mai diranno di aver arrecato danni e causato la nostra miseria, basta leggere un qualsiasi libro di storia in uso nelle nostre scuole… […] Quando parlavo nelle mie classi del brigantaggio, i ragazzi mi guardavano con stupore (e non solo loro!): mai avevano sentito favellare sui Borbone e sui briganti…>> 
Raffaele Rago era un ricercatore meticoloso ma al momento giusto sapeva essere anche un “revisionista di pancia”, un infuocato difensore, perché è difficile rimanere freddi e scientifici quando a essere infangata non è la storia di un posto qualsiasi del mondo, bensì la storia e la dignità della terra su cui hanno vissuto e sperato i tuoi genitori e i tuoi avi, e che è fonte d’ispirazione poetica oltre che storiografica. Scrive Rago in un articolo pubblicato sulla rivista elettronica Eleaml e intitolato “La calunnia è come un venticello”: <<… Quando gli studiosi di regime si scagliano in modo selvaggio contro i Borbone, non posso che prendere la penna e cercare di difendere il mio Sud, le mie tradizioni e la mia Storia, quella che mi è stata insegnata, fin dalla tenera età, quando nonno Antonino, vicino al focone, mi parlava dei briganti, che si riunivano sul monte Polveracchio, dei Borbone, che amavano le nostre zone e che cercavano di rendere la vita nel loro regno il più vivibile possibile…>> 
La ricerca storica di Raffaele Rago non era dettata solo da motivazioni nostalgiche ma soprattutto da solide ragioni economiche e politiche. La dignità di un popolo conquistato e annesso (annessione che, imitata dall’Anschluss nazista del 1938 ai danni dell’Austria, ebbe a compimento dell’opera una becera farsa referendaria pilotata al fine di evitare la probabile deriva consultiva!) non viene minata dal fatto di imporre una nuova bandiera o un nuovo inno, ma dalla pessima qualità economica nazionale che si determina all’indomani della conquista e che inesorabilmente ricade sull’esistenza della parte debole di una popolazione. Scrive ancora Rago nel succitato articolo: <<… Dopo la parentesi predatoria napoleonica, con i Borbone si iniziò a schiudere non solo un periodo di pace, ma anche di prosperità. Si potenziò la rete stradale, infatti dalle 1505 miglia (1828) si passò alle 4587 (1855); si incrementò la marina a vapore che, dopo quella inglese, era la seconda nel Mediterraneo; si creò la prima ferrovia d’Europa; si diede la possibilità di sviluppare le fabbriche del Meridione: quella dei damaschi a Catanzaro; di S. Leucio; delle officine di Mongiana, che venivano collegate allo Ionio con una ferrovia che, tranne il tracciato, non è più visibile. Non sono da dimenticare le fabbriche di armi di Serra S. Bruno, le filande di Bagnara e tanti altri opifici sparsi in tutto il Sud e tutti funzionanti. Chi perpetrò lo scempio e la completa distruzione di tutto questo? Chi costrinse a chiudere i vari stabilimenti? Chi stroncò l’interessante esperimento produttivo di S. Leucio? Chi eliminò gli alti forni di Mongiana? Chi eliminò i binari della prima ferrovia industriale calabrese? Chi rubò i 500 milioni di ducati (più di quattromila miliardi di oggi) dalle casse Borboniche per portarli (allegramente) verso il Piemonte per pagare i debiti di guerra dei Savoiardi? Non si può nascondere che il Sud, il nostro Sud, fu trattato solamente come terra di conquista, cioè una colonia da sfruttare. I Savoia, con l’avallo di deputati meridionali approfittatori e corrotti, imposero tasse assurde; fusero, solamente per il loro utile, i due debiti pubblici, quello del Sud (500 milioni di lire su 9 milioni di abitanti) e quello del Regno sabaudo (1 miliardo di lire su quattro milioni di abitanti)…>> 
Domande che nel corso degli anni hanno trovato risposte serene e non più condizionate da anacronistiche posizioni politiche o da “questioni di principio” affievolite dal tempo: forse l’appiattimento ideologico a cui stiamo assistendo e il menefreghismo culturale imperante, per assurdo che possa sembrare, stanno rendendo possibile un’operazione di ricerca della verità storica fino a qualche decennio fa impensabile. Nonostante la solita commozione istituzionale del presidente della repubblica di turno in occasione dei festeggiamenti per l’anniversario dell’unità d’Italia, nonostante la passione revisionistica dei neoborbonici, la verità nuda e cruda riesce ad emergere proprio perché a nessuno o a pochissimi importa qualcosa del Risorgimento! Quando il fisiologico decadimento emotivo dei fatti storici incombe, quando la maggioranza è distratta: quello è il momento giusto per agire, per scavare, per sapere con serenità. 
Chissà se Raffaele ha avuto modo di apprezzare la decostruzione degli eroi e dei patrioti risorgimentali operata dal regista Mario Martone nel film “Noi credevamo”, raro esempio di interesse storico-risorgimentale da parte di un cinema italiano stanco e in crisi d’identità; chissà se ha valutato positivamente il giudizio equidistante del regista nei confronti delle barbarie borboniche e piemontesi; se ha condiviso il disincanto dei personaggi causato da un’idea unitaria che si è rivelata fallimentare fin dai primi vagiti; se ha colto il collegamento realizzato da Martone tra quei fatti storici e il nostro presente... Non lo sapremo mai. Anche se, avendolo conosciuto, potremmo immaginare una sua reazione.
Ricercare e rinforzare la verità a volte è più faticoso che seguire romanticamente le favole idealistiche propinate da un sistema che ci governa fin nell’intimo. Raffaele Rago l’aveva capito e coltivava questa sua necessaria “fissazione” non per se stesso, per andare inutilmente controcorrente o perché s’illudesse di essere seguito e ascoltato dalle odierne masse ipnotizzate dai reality show, ma semplicemente per amore dell’oggettività, per onorare la memoria di uomini e donne vissuti 150 anni fa, che non aveva mai conosciuto e che nonostante tutto sentiva vicinissimi: fratelli nella storia più che per consanguineità; un modo per ricordare che le decisioni scellerate del passato lasciano tracce inesorabili anche nel nostro presente. Ed è per questo che leggeva e studiava, scriveva e testimoniava partecipando a incontri e seminari dedicati all’“altra storia”: un’altra storia che fa male conoscere e ricordare, ma che ha una funzione catartica, che fa rinsavire e rende politicamente e mentalmente autonomi. 
Michele Nigro




martedì 3 settembre 2013

Il Movimento Neoborbonico compie 20 anni


Il 7 settembre del 1993, ideato da Gennaro De Crescenzo e con l’adesione e l'entusiasmo del grande Riccardo Pazzaglia, nasceva il Movimento Neoborbonico. 


Il 7 settembre del 2013 il più antico, diffuso e attivo movimento del mondo borbonico-meridionalista-duosiciliano celebra il suo ventesimo compleanno e lo festeggerà nel prossimo OTTOBRE.
Dalle prime lettere inviate da Gennaro agli autori di lettere borboniche sui giornali e rintracciati (internet non c’era) all’azienda telefonica della stazione, a quella pubblicata da Pazzaglia su Il Mattino invitando i meridionali ad unirsi a quella cena per “parlare male di Garibaldi” insieme a loro al Borgo Marinaro (e “Male che vada”, facciamo un tanto a testa)… fino ai successi di manifestazioni, convegni, ricerche e pubblicazioni che hanno cambiato e stanno cambiando la storia, con numeri e risultati sempre più sorprendenti, soprattutto negli ultimi anni, festeggeremo con iscritti, simpatizzanti e “testimonial” importanti e affettuosi il compleanno dell’associazione di volontariato (e passione) più famosa in Italia. Dettagli nei prossimi giorni. Previsti, comunque, per OTTOBRE (e aperti a tutti), un concerto con, tra gli altri, Eddy Napoli, Gianni Aversano e Napolincanto, una mostra, la presentazione di una pubblicazione e un incontro con gli iscritti e tutti i delegati italiani e all’estero del Movimento Neoborbonico e del “Parlamento delle Due Sicilie – Parlamento del Sud” (presso “Archivio Storico” e Teatro Salvo d’Acquisto, via Morghen-piazza Vanvitelli, Napoli). 

Prevista la graditissima presenza di SUA ALTEZZA REALE IL PRINCIPE CARLO DI BORBONE.

NOTIZIE E AGGIORNAMENTI:

www.neoborbonici.it 

www.parlamentoduesicilie.it

www.reteduesicilie.it

e attraverso questa Rete.