domenica 30 settembre 2012

Napoletani ed Arabi




Lingua napoletana e araba vicine di casa
di
Emanuela Barretta

Il napoletano è una lingua che deve molti dei sui vocaboli non sono alle lingue di derivazione europea, ma anche all'arabo e sarà divertente scoprire i veri significati di termini come 'Paposcia' o il famosissimo 'Mammone', terrore per i bambini partenopei più irrequieti.

Avreste mai pensato che la lingua napoletana, patrimonio dell’Unesco  e fonte di ispirazione per poeti, scrittori e cantanti, debba una parte del suo vocabolario alla contorta e complicata lingua dei califfi e degli sceicchi, ossia l’arabo? Infatti oltre alle influenze spagnole, greche, francesi e latine, il territorio napoletano è stato toccato anche dalla lingua semitica per eccellenza,  appunto l’arabo attraverso gli intensi scambi commerciali che il Regno di Napoli intratteneva beatamente con i paesi nordafricani.
Un esempio può essere la parola “Paposcia” che oltre a designare una semplice pantofola vecchia e consunta, e sinonimo di ernia scrotale, deriva dall’arabo “bābūğ”, la classica calzatura orientale con la punta all’insù.
Oppure la stessa parola “Tamarro” deriva dall’arabo “al-tammār” con significato originario di “mercante di datteri”, e in seguito alla dominazione araba nel sud Italia si è trasformata in “zotico, insulso, maleducato”.
Che dire invece del famigerato  “mammone”, con il quale le madri terrorizzavano gli esuberanti bambini napoletani, simboleggiante un mostro rapitore? Questa parola non deriva altro che dall’arabo “Maymūn”  riferendosi semplicemente  a un grosso scimmione.
Altro demone o spiritello maligno è il napoletano “farfariello”, con il quale Dante si riferiva al diavolo e diffusosi anche da noi con lo stesso significato. “O farfariello” deve quindi la sua origine dall’arabo “Farfar” ossia demonio, spirito maligno.
E la “vaiassa” invece? In origine questa parola aveva un significato totalmente diverso da quello attuale, ossia donna incivile, sguaiata e volgare. Infatti in origine la “vaiassa” non era altro che la serva di Casa ed etimologicamente la parola deriva dall’arabo “Bargash” indicante la giovane schiava straniera, fatta preda di guerra o di razzia.
E quando diamo a qualcuno l’appellativo di “bazzariota” riferendoci alla poca onestà e al suo scarso impegno? Ebbene questa parola non deriva altro che da “bazaar”, il tipico mercato orientale, pieno di venditori ambulanti di merci dalla discutibile affidabilità.
Quindi, quando vi recherete nei paesi arabi non dimenticate queste parole, potrebbero esservi d’aiuto, non si sa mai!


sabato 29 settembre 2012

Registro dei tumori in Campania



Si farà il registro tumori in Campania 
vittoria dei comitati

di
Davide Schiavon


Giro a vuoto per dieci minuti tra i giardini dell’istituto oncologico Pascale, credendo che l’appuntamento sia all’interno dell’ospedale. Da una cancellata poi vedo la lunga catena che va velocemente intrecciandosi. Saranno circa duecento le persone accorse oggi per manifestare contro l’impugnazione, decisa dal governo Monti, della legge regionale che istituisce il registro tumori in Campania. In realtà la manifestazione si è trasformata in un brindisi celebrativo, visto che già nella serata di ieri si è appreso che il registro dei tumori sarebbe stato istituito per decreto, grazie all’intervento diretto del governatore regionale Stefano Caldoro. Una vittoria dunque, anche se parziale, per tutti i cittadini presenti e che da anni si battono per il registro, strumento decisivo per associare scientificamente – e inequivocabilmente – l’elevata incidenza di malattie tumorali in Campania con l’inquinamento del territorio. E poi procedere finalmente alla bonifica senza scuse. Al mio arrivo a tenere banco sono le dichiarazioni dell’oncologo Marfella, accerchiato da molti cronisti. Accanto a lui il parlamentare Barbato di Italia dei Valori. Insieme discutono dei costi del registro. La decisione del governo nasce, infatti, da una valutazione economica. Un milione e mezzo di euro – questa la spesa prevista per l’attivazione – sono sembrati troppi al ministro Clini. «Un milione e mezzo di euro è troppo? Il governo ha erogato quattro milioni alla Regione Campania per il restyling del sito istituzionale!», spiega Barbato. «Noi vogliamo che le istituzioni facciano il loro dovere e tutelino la salute pubblica. Ciò significa non ostacolare la creazione di un registro regionale dei tumori. È finita l’epoca degli studi, ora c’è bisogno d’azione», replica Marfella. Una signora racconta le disgrazie della propria famiglia e promette di lottare fin quando avrà voce. “Signore, non perdonarli perché sanno quel che fanno”, recita uno striscione. Il clima è comunque più disteso del solito, una battaglia è vinta anche se tutti quelli con cui parlo ribadiscono che «c’è bisogno di continuare a presidiare i territori, andare avanti fino a quando non ci saranno le bonifiche». Un gruppo di donne cerca di farmi togliere il vizio del fumo guardandomi come se stessi già morendo. Mi stupiscono due signori che discutono animatamente dei tempi di decadenza di un isotopo. Uno è un medico, l’altro un attivista del comitato di Chiaiano, e tra i due è il dottore quello in difficoltà. Alla discussione si aggiunge Marfella, che viene accusato di aver ammorbidito la sua posizione anti-inceneritori negli ultimi mesi. «Io sono quello che ha fatto chiudere più inceneritori in tutta Italia», è la semplice ma efficace difesa. Il problema è che spesso si tende ad accomunare rifiuti urbani e rifiuti industriali. Per i secondi, spiega l’oncologo, è difficile poter pensare a un piano “rifiuti zero”, e «se tu sei in grado di portarmelo, io ti bacio i piedi». Pochi minuti sono concessi a telecamere e fotografi: si stappa una bottiglia di spumante per festeggiare un atto politico significativo. La catena si riallaccia, le Mamme vulcaniche lanciano cori: “La gente come noi non molla mai”. Chiedo cosa ne sarà dei territori dove l’elevata percentuale di tumori sarà dimostrata essere effetto dell’inquinamento dei terreni. Marfella mi dice che ad Acerra, per esempio, si doveva fare una scelta già anni fa: non è possibile far coesistere un’area industriale così grande con le aree agricole a pochi metri. Quei terreni, una volta così fertil ora possono essere utilizzati solo per coltivare prodotti non commestibili. «Potrebbero creare borse di canapa ad Acerra, se però fai crescere le zucchine è chiaro che te le ritrovi avvelenate». Dopo poco più di un’ora la catena si scioglie, alle due e mezza restano pochi gruppetti a chiacchierare. Le sigle in mostra sono diverse, anche bandiere di partito. Una piccola controversia nasce tra una signora che sventola la bandiera del Movimento 5 Stelle e alcuni attivisti. Il problema è che troppo spesso queste beghe interne pregiudicano la riuscita di un movimento che, nelle intenzioni, dovrebbe far fronte comune. Invece, complice forse l’aria celebrativa che si respira, ecco che si dividono: da una parte eoborbonici e Insorgenza civile, dall’altra i Radicali, poi ecco i Verdi… Magari è solo un’impressione, mi dico.


venerdì 28 settembre 2012

La Reggia di Caserta cade a pezzi





La Reggia cade a pezzi, 
messa in sicurezza l'area militare

Venerdì scorso l'ultimo cedimento dalla parete laterale del palazzo Vanvitelliano, transennata l'area all'interno della scuola dell'aeronautica


Caserta - I primi segnali risalgono ad alcune settimane fa, venerdì scorso il primo cedimento di dimensioni non indifferenti. La Reggia di Caserta ha cominciato letteralmente a perdere pezzi, almeno per quanto concerne la parete laterale che insiste all'interno della scuola sottufficiale dell'aeronautica. Dai semplici calcinacci di qualche tempo fa, nella giornata di venerdì dal cornicione della storica dimora della casa reale dei Borbone, si sono staccati parti che hanno seriamente compromesso l'incolumità dei militari.  A tal punto che, come si può notare nella foto accanto, le autorità militari hanno deciso di transennare l'area interessata dai cedimenti onde evitare il peggio. Pare che le stesse autorità abbiano già provveduto ad avvisare la Sovrintendenza che, fino ad oggi, non ha fornito risposte soddisfacenti. Altre grane in arrivo per la David.



Fonte: interno18.it
Vincenzo Altieri in CronacaVen, 28/09/2012

giovedì 27 settembre 2012

Meridionali brutti, sporchi e cattivi


VALENTINI SCRIVE

di

Salvatore Lanza



Secondo lo scrittore Valentini (cfr. il suo ultimo libro), la Campania, la Sicilia e la Calabria sono una specie di cancro per l’Italia, i meridionali sono sempre stati delinquenti e sono “i più incivili” secondo i dati riportati dalla Fondazione Res. Non partecipano alle elezioni, sono meno disposti al volontariato, non fanno la differenziata e leggono meno giornali e libri. Molte persone ignorano che quelle stesse regioni sono sostanzialmente la Magna Grecia, in quelle stesse regioni sono state inventate o migliorate discipline come l’etica, la filosofia, la matematica, la geometria, l’architettura, la retorica, l’archeologia, la teologia, la letteratura, la logica, la musica, la sociologia, la medicina, l’arte,  il diritto, l’economia, l’educazione civica e perfino la magia, quella bianca, chiaramente. Grandi uomini del passato e del presente, grandi filosofi, letterati si sono definiti incompleti perché non erano o non sono napoletani. Penso a Virgilio o a Giacomo Leopardi. I due massimi poeti della storia antica e moderna. Molte altre dimenticano o non sanno che in quelle stesse regioni forse non ci sono tantissimi volontari perché ci si deve impegnare quotidianamente a sbarcare il lunario e si ha poco tempo da dedicare agli altri e non sanno neppure che quelle stesse regioni, in ogni "maratona della solidarietà" nazionale,  sono sempre le più generose. 
Valentini scrive: "Cosa c’entra Garibaldi con il malaffare?”. Lui ignora che Garibaldi al Sud ha regolarizzato il malaffare, altrimenti non sarebbe mai sbarcato prima in Sicilia e poi a Napoli, lui non ricorda o non lo ha studiato che i primi tutori dell’ordine furono proprio i mafiosi in Sicilia e i camorristi in Campania che divennero senza concorso i tutori della legge inaugurando la stagione (ancora attuale) degli amori tra uno stato e la malavita. Ma Valentini conosce i dati della delinquenza preunitaria al Sud prima di Garibaldi? Non conosce, ovviamente, le ragioni che spingono un uomo del Sud  a comprarsi un posto di lavoro e, a giusta ragione, affermare "l’ho pagato e me lo gestisco io!".  Come può un giovane meridionale amare un corpo di polizia quando, magari, poche ore prima ti ha (giustamente) arrestato un padre o un fratello? Come potrebbe rispettarlo magari se ricorda che non è il suo ma che apparteneva ad uno stato che da 150 anni lo ha massacrato e occupato, riempito di tasse, imponendo sette anni di leva obbligatoria e costringendolo nel migliore dei casi ad emigrare in America o a morire in prima linea nelle trincee della prima guerra mondiale (ne morirono 500.000 di giovani “delinquenti” meridionali, caro Valentini). La “burocrazia borbonica”, così definita, dagli "scrittori salariati" di gramsciana memoria, era la più avanzata d’Europa, snella, veloce efficace e,  pensi caro Valentini, inventammo le pensioni per i dipendenti pubblici con la trattenuta del 2% sugli stipendi, gli asili nido, l’assegno di disoccupazione, che doveva anche rispettare la privacy, la raccolta differenziata, la motivazione delle sentenze, gli assegni bancari, le agenzie turistiche, i marchi doc per i prodotti meridionali, le navi da crociera, la cartografia moderna, le cattedre di osservazione chirurgica e quella di economia o quella di vulcanologia. Qualcosa, evidentemente, deve essere successo ai meridionali più o meno 150 anni fa a meno che non crediamo davvero che si tratti di esseri inferiori per razza. Il passato per il passato non ci interessa, ma non può non interessarci quando è così legato al presente e se può servire (altro che "alibi" o "giustificazionismo") a formare meridionali (e classi dirigenti) finalmente consapevoli e fiere come non capita da oltre un secolo e mezzo e dopo un secolo e mezzo di libri come quelli di Valentini...












mercoledì 26 settembre 2012

Lotito e i Borbone





Continuano gli “scivoloni” di personaggi tanto noti quanto ignoranti di una storia che proprio non vogliono imparare. Questi illustri signori, così come la storia, ignorano anche il significato dei termini che di tanto in tanto ostentano nel miserando intento di apparire colti ed incisivi.
Sappiamo bene dove hanno messo la faccia tutti coloro che in passato si sono cimentati ad utilizzare infelicemente l’aggettivo “borbonico”.
In allegato il comunicato della Segreteria Nazionale del nostro Movimento ed una pungente nota di Angelo Forgione.


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Contro le offese anti-napoletane 
un libro in regalo a Lotito 

Il presidente della Lazio Lotito ha definito “borbonico” l’atteggiamento della burocrazia del calcio italiano. Il Movimento Neoborbonico ed il "Parlamento delle Due Sicilie", in occasione della prossima partita Napoli-Lazio gli regaleranno un sunto della monumentale opera del grande Gaetano Filangieri (Scienza della Legislazione) invitandolo a evitare, nelle sue prossime dichiarazioni, riferimenti relativi alla nostra storia borbonica in quanto: 
a) del tutto inappropriati, visti i numerosi primati che anche nel settore della burocrazia e del diritto il Regno delle Due Sicilie poteva vantare (e di cui lui certamente ignora la storia); 
b) offensivi verso milioni di napoletani e di meridionali che, a differenza sua e anche del presidente Cellino, al centro della questione sollevata, si sentono profondamente legati a quella storia e a quei primati e ad una cultura del diritto antica e prestigiosa; 
c) del tutto inopportuni anche in vista della prossima imminente partita Napoli-Lazio. 

"Parlamento delle Due Sicilie - Parlamento del Sud" - Commissione Sport 
Movimento Neoborbonico
Ufficio Stampa
347 8492762

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NAPOLI E IL SUD 
NON SI FACCIANO OFFENDERE DA LOTITO! 
Tra lui e Cellino…
di
Angelo Forgione

Claudio Lotito commenta la vicenda dello stadio di Quartu Sant’Elena e offende, come troppi, la storia di Napoli con quel solito aggettivo di stampo post-risorgimentale che i vocabolari continuano a riportare. Per il presidente della Lazio i nuovi stadi in Italia non si faranno per colpa de “l’atteggiamento borbonico della burocrazia italiana che lascia a persone singole di decidere di una norma al Senato”.
Vicenda grottesca che coinvolge due tra i presidenti più discutibili della Serie A. Lotito offende Napoli e il Sud e contesta lo Stato da posizione di condannato nell’ambito del processo di “calciopoli” per illeciti commessi nel suo primo anno di gestione, nonchè per aggiotaggio e ostacolo all’attività degli organi di vigilanza sui titoli in borsa del suo club, ma anche inibito per violazione del regolamento FIGC agenti calciatori. Giudizi espressi circa l’azione a tutti gli effetti sovversiva del presidente del Cagliari Cellino che scavalca la decisione di un Prefetto, organo monocratico dello Stato, e incita migliaia di persone a infrangere la legge per poi difendersi affermando che in ventun anni con il Cagliari non è mai stato deferito per vicende legate ai passaporti, al doping, agli arbitri, a evasioni fiscali o falsi in bilancio. Peccato che i falsi in bilancio li abbia commessi nella sua attività imprenditoriale, cosa per la quale è stato condannato a 1 anno e 3 mesi di reclusione, per poi patteggiare la condanna nell’ambito di una truffa all’Unione Europea (dichiarate quantità di grano inferiori a quelle esistenti nei suoi silos). Cellino, tra l’altro, per 7 anni non ha pagato l’affitto del “Sant’Elia” e nemmeno ha speso un soldo di manutenzione che ricadeva sul Comune di Cagliari mentre lui intascava gli incassi. Poi è stato eletto il sindaco Zedda che ha messo fine a questo vergognoso vassallaggio in tempo di crisi economica, Cellino ha sloggiato smontando i tubi innocenti delle tribune costruite all’interno dello stadio “rimodernato” nel 1990 e ha sbattuto la porta rimontandole a Quartu Sant’Elena. Tanto per dirla breve, il Tribunale di Milano ha disposto il pignoramento di 1,7 milioni di euro del Cagliari derivanti dai contributi Sky/Lega Calcio per risarcire almeno in parte il Comune di Cagliari, riconosciuto parte lesa.
Se le alluvioni colpiscono il Nord per un comico di Genova è colpa del Sud. Se la Giustizia non funziona per un giudice di Treviso è colpa del Sud. Se gli stadi in Italia non si fanno per un imprenditore romano è colpa del Sud. È sempre colpa del Sud se si tira in ballo quel termine che ha utilizzato anche Claudio Lotito, il quale dovrebbe imparare (non è il primo e non sarà l’ultimo cui lo insegniamo) che l’inefficienza e la macchinosità della pubblica amministrazione attribuita ai Borbone di Napoli non sono altro che un falso storico. Anzi, in realtà l’aggettivo attribuisce ai napoletani un difetto dell’amministrazione piemontese e il Cavalier Vittorio Sacchi, amico di Cavour, direttore delle contribuzioni e del catasto del Regno di Sardegna, fu inviato a Napoli per capire come erano ordinati i tributi e le finanze delle Due Sicilie. Da Napoli, Sacchi spedì una lunga lettera a Torino annotando che era partito per la grande metropoli con forti pregiudizi, smentiti da ciò che aveva visto con gli occhi e toccato con mano. Una lunga serie di apprezzamenti coi quali consigliò di applicare la burocrazia napoletana al nuovo Regno d’Italia in luogo di quella piemontese. “Nei diversi rami dell’amministrazione delle finanze napoletane si trovavano tali capacità di cui si sarebbe onorato ogni qualunque più illuminato governo”. Questo fu il sunto di quanto riportò minuziosamente il Sacchi. Non lo presero in considerazione, e pare che non gli consentirono di proseguire più i suoi incarichi. Finì in disgrazia, come Napoli cui bastarono 62 giorni di dittatura garibaldina per distruggere le floride finanze e l’economia del Sud.
Francesco Saverio Nitti demolì la leggenda del “burocratismo” meridionale con un’analisi puntuale, dimostrando come gli uffici dello Stato fossero prevalentemente concentrati al Nord (scuole, magistratura, esercito, polizia, uffici amministrativi ecc.). Il solo Piemonte ebbe, fino al 1898, 41 ministri contro 47 dell’intero Sud e la situazione era la stessa per tutti gli alti gradi dello Stato.
Il “Sole 24 Ore”, nel Marzo del 2011, ha attribuito al Piemonte il parto del debito pubblico. La causa? La burocrazia esasperata finalizzata alla sparizione di soldi pubblici, da cui derivò una sfrenata “creatività” tributaria e la necessità di unirsi, avete letto bene, con chi aveva i conti in ordine. Per giustificarla bisognava inventarsi una propaganda per legittimare un’aggressione contro le Due Sicilie creando attorno ai Napolitani delle “leggende nere” che ancora infestano tanti manuali scolastici e il lessico popolare figlio dei vocabolari. 
L’efficienza borbonica è riscontrabile in molti campi, ma di sentire inesattezze non si finisce mai. In Italia, e soltanto in Italia, “borbonico” dice male; non in Spagna, non in Francia, dove non c’è stato un Risorgimento.

contatto SS Lazio: direzione.comunicazione@sslazio.it









martedì 25 settembre 2012

San Gennaro a Madrid





Il giallo del sangue di San Gennaro a Madrid

di
Angelo Forgione



Oltre alle due ampolle custodite nella teca al Duomo di Napoli ce ne sarebbe una terza di cui si persero le tracce: il “devotissimo” Carlo di Borbone la portò in Spagna?
Che si creda o no al prodigio dello scioglimento del sangue di San Gennaro, devoti, atei e agnostici saranno tutti d’accordo che la figura del patrono di Napoli è legato indissolubilmente alla storia della città. E attorno al mistero dello scioglimento del sangue c’è un secondo piccolo mistero perché oltre alle due ampolle nella teca custodita nella Cappella del Tesoro nel Duomo di Napoli ce ne sarebbe anche una terza, e pure preziosa perché d’oro, scomparsa.
C’era, è stata portata via secoli fa ma se ne sono perse le tracce. Di certo si sa che Carlo di Borbone era devotissimo al santo napoletano e che nel 1759, quando partì per sedere sul trono di Spagna, si portò a Madrid del sangue che si dice sia stato sottratto dall’ampolla più grande, che infatti non è completamente piena.
Da quanto si evince da uno scritto del primo ministro del Regno di Napoli Bernardo Tanucci indirizzato all’erede napoletano Ferdinando IV, papà Carlo fece custodire l’ampolla nella cappella dell’Escorial e ogni 19 settembre faceva celebrare una messa per San Gennaro a Madrid. Il sangue si scioglieva anche li? In ogni caso San Gennaro deve aver comunque ceduto alle lusinghe borboniche visto che il prodigio non si é mai verificato in presenza dei sovrani di Casa Savoia.
Il fatto è che già dal Seicento erano stati apposti dei sigilli alle ampolle, proprio per impedire l’abitudine di nobili e sovrani di prelevare reliquie. Dunque, Carlo di Borbone portò con sé il sangue di San Gennaro o inconsapevolmente quello di qualche altro santo napoletano?
Del resto pare che il prodigio necessiti della presenza del busto-reliquiario del Santo che contiene i resti del suo cranio. Fu voluto nel Trecento da Carlo II d’Angiò ed è tornato da una mitra aggiunta nel Settecento che è considerata uno degli oggetti più preziosi del mondo.
I responsabili del Museo del Tesoro di San Gennaro hanno attivato da qualche tempo le ricerche della terza teca per via diplomatica e per il momento si sa solo che a Madrid il monastero reale dell’Encarnatiòn custodisce ufficialmente il sangue di san Pantaleone e quello di San Gennaro. Il primo si scioglie il 27 luglio, il secondo no.
Per una semplice coincidenza, quella data del 1892 è legata alla benedizione della prima pietra della chiesa di San Gennaro al Vomero. Da dove è arrivato il sangue del patrono di Napoli? Che si tratti di quello portato via da Carlo di Borbone? Mistero.
Intanto nelle scorse ore si è rinnovato il miracolo.




lunedì 24 settembre 2012

Verso un futuro di verità



Ci aspetta un autunno ricco di appuntamenti importanti a partire dal prossimo intensissimo ottobre sia con il Movimento Neoborbonico che con il nostro "Parlamento delle Due Sicilie", le cui iniziative saranno periodicamente annunciate. 
Aumenta progressivamente il numero di coloro che si iscrivono o contattano questo sito, il sito madre www.neoborbonici.it, quello del Parlamento www.parlamentoduesicilie.it o ci chiedono di ricevere, gratuitamente e periodicamente, informazioni storico-culturali e sulle attività dalla Rete di Informazione delle Due Sicilie.  Per non parlare degli affollati gruppi di Facebook da noi gestiti.
Aumenta, evidentemente, il numero di chi ha capito che senza la necessaria opera di ricostruzione di verità, orgoglio e identità l'antico Regno delle Due Sicilie non può trovare la strada per il suo (meritato e atteso) riscatto. Segnali importanti e carichi di speranze.
Una speranza che fu magistralmente caratterizzata da un nostro grande Maestro, il compianto Don Paolo Capobianco, che con una frase diede un senso concreto alla nostra azione: "Siamo in tanti e non lo sappiamo: occorre raggiungere tutti con la verità". 
E questa è la nostra missione.

domenica 23 settembre 2012

Porta Pia ieri ed oggi


ROMA

20 settembre 1870   -   20 settembre 2012


A Porta Pia, nel 1870, ci fu un’azione militare che, in violazione del Diritto Internazionale, comportò l’annessione forzata al Piemonte di ciò che restava dello Stato della Chiesa. 
Come disse Dostoevskij, Roma da capitale del mondo fu degradata a capitale di un’Italia unita meccanicamente e non spiritualmente.
Da allora ed ancor oggi, l’assalto di Porta Pia non segna soltanto la fine politica di uno stato antico, ma rappresenta soprattutto il trionfo dell’ideologia liberal-massonica su quanto poteva rappresentare di ostacolo all’imperialismo capitalista che allora muoveva i primi passi nelle politiche mondiali.
Nell’anniversario di quella impresa, di cui ancor oggi si nascondono particolari significativi, pubblichiamo una nota di un ”liberale” che, mal sopportando le ragioni del revisionismo ed incarnando fedelmente gli ideali di quell’azione, reagisce malamente nei confronti di chi controcelebra quel momento storico. A questa nota è allegata una nostra risposta.
Buona lettura.  


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Revisionismo anche su Porta Pia?


L’esposizione della bandiera del papa-re che aveva sventolato a Porta Pia nel 1870 e il solenne omaggio tributatogli lo scorso 2 settembre nella chiesa di San Lorenzo in Lucina a Roma appartengono probabilmente al folclore dei riti ricorrenti dell’aristocrazia nera della capitale, alle provocazioni eccentriche degli ultimi Colonna, Borghese, Torlonia. Ma diversi segnali, in queste settimane, offrono all’evento un contesto che lo sottrae alla semplice curiosità della cronaca minuta.
Innanzitutto, sorprende il linguaggio alla moda del principe Sforza Ruspoli che invoca l’abusatissima formula della "caduta delle ideologie" per legittimare la radicale revisione della figura di Pio IX, sconfitto dalle contingenze della storia, ma attualissimo profeta dei pericoli della modernità. Sarebbero gli stessi, in fondo, contro i quali oggi mette in guardia le coscienze (e i partiti, e le istituzioni dello stato italiano) Giovanni Paolo II. Vengono alla mente altri inquietanti revisionismi recenti.
Sullo sfondo, naturalmente, vi è la beatificazione di Pio IX che ha sollevato aperti dissensi all’interno dello stesso mondo cattolico, dalle comunità di base allo storico Pietro Scoppola, ai grandi teologi Schillebeeckx, Metz e Küng, al gesuita e storico Giacomo Martina.
Anche in ambito cattolico, sembrava da tempo acquisita la conclusione che, col senno di poi, la perdita del potere temporale fosse stata una grande liberazione per la Chiesa stessa e per la credibilità del suo magistero. Inoltre, le cannonate dei bersaglieri nel 1870 non erano certamente negli auspici degli eredi di Cavour, che fino all’ultimo avevano riproposto l’unica (laica e monarchica, individuata dal Cavour) via d’uscita ragionevole e reciprocamente vantaggiosa: "Libera Chiesa in libero Stato". Paradossalmente, le contingenze della storia nazionale hanno fatto sì che il laicismo sia stato garantito maggiormente dalla monarchia, piuttosto che dalla repubblica.
D’altra parte, negli anni precedenti, Pio IX aveva cancellato rapidamente e definitivamente l’immagine di "papa liberale" con cui era stato salutato nel 1846-47. Dopo la caduta della Repubblica Romana, aveva ripristinato la pena di morte, comminato carcere ed esilio a chi voleva concludere il Risorgimento. Nel 1864, con il "Sillabo degli errori principali del nostro tempo", aveva sancito la chiusura totale della Chiesa nei confronti del mondo moderno, condannando la libertà di pensiero, di fede e di ricerca scientifica; il socialismo e il liberalismo; il progresso; la separazione tra Stato e Chiesa; il divorzio ecc. Questo cupo arroccamento tradizionalista, rafforzato dalla proclamazione del dogma dell’infallibilità nel Concilio Vaticano I del 1870, aveva sconfessato le forze migliori del cattolicesimo in un momento storico cruciale non solo per l’Italia, compromettendone a lungo la possibilità di una partecipazione efficace e autorevole alle grandi trasformazioni di fine secolo. Per non parlare del Non expedit, che da un lato nega legittimità alle istituzioni e alla classe politica (in gran parte cattolica!) del nuovo Stato unitario e, dall’altro, mette in quarantena sino alla fine della prima guerra mondiale le prospettive di un possibile soggetto politico cattolico nel nostro Paese.
La revisione della figura di Pio IX avviene contemporaneamente allo sviluppo di un più vasto revisionismo che, con provenienze diverse e in modi spesso confusi, tende a distruggere il nostro Risorgimento. Così, le mitologie padane della Lega si scoprono in sorprendente sinergia, sul piano di un revisionismo storico improvvisato oltre che su quello delle alleanze elettorali contingenti, con le spinte dell’integralismo cattolico. Al Meeting di Rimini, si riscopre la figura del brigante meridionale per giocarla contro la pretesa "sacralità" del mito risorgimentale. In realtà, con ben maggiore attendibilità storiografica, le luci e le ombre dell’unificazione e della costruzione dello Stato nazionale sono state già ampiamente evidenziate da più generazioni di studiosi e da tempo anche nelle nostre scuole ci si è liberati dalla retorica agiografica che oggi si vorrebbe indicare come mito da sfatare; in particolare, sulle componenti sociali del brigantaggio si è soffermata a lungo proprio la storiografia di sinistra e laica (ovviamente senza nostalgie papaline se non addirittura sanfediste), quindi della parte politica contro cui si rivolgono i recenti revisionismi.
Quello che più colpisce nelle attuali polemiche, è la debolezza della voce dei laici e delle istituzioni, specie sul recente interventismo della Chiesa che, dalle discussioni parlamentari sulle biotecnologie al Gay Pride, moltiplica le invasioni di campo come mai in passato. La fine della Democrazia Cristiana sembra aver liberato il Vaticano da un’istanza unica e stabile di mediazione politica, mentre la nascita di Forza Italia contrabbanda agli italiani un preteso liberalismo-laicismo di massa inesistente.

Michele D’Elia
Presidente dell’Associazione dei liberali – Milano
Membro della Giunta nazionale della Federazione dei liberali


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La nostra risposta


E già! Revisionismo anche su Porta Pia



Non lo diciamo da “storici”, ma da osservatori della storia: per capire i fatti che travolsero e sconvolsero l’Italia nel “Risorgimento”, bisogna innanzitutto capire lo spirito di quel momento, ciò che veramente passava per la mente della gente comune e non solo per quella dei liberali, dei massoni nostrani e dei ministri inglesi. Insomma, per scoprire dove sta la verità occorre immergersi in quei momenti, sforzandosi di fare proprie le aspirazioni, i sentimenti, le  necessità e gli ideali delle popolazioni schiacciate tra il vecchio ed il nuovo, tra il certo e l’incerto, tra il papa ed il re, tra il sud ed il nord.
La presa di Porta Pia, così come la maggior parte delle vicende storiche che la precedettero, fu l’ennesimo danno agli interessi delle popolazioni per opera delle classi liberali emergenti in Italia e nello scacchiere internazionale. 
Per qualcuno è valida l’abusata metafora: “Gli italiani con l’unità caddero dalla padella nella brace”, come dire che se prima stavano male, poi, con l’unificazione imposta a colpi di cannone dai Savoia, stettero peggio.
Questa posizione viene abbracciata dalla maggior parte di coloro che affrontano in modo critico ma laicista il “Risorgimento”, comunque condannando i governi precedenti. Il valore aggiunto promosso dai Neoborbonici è rappresentato dagli Ideali legittimisti e della tradizione cattolica che, però, stridono con le tesi laiciste. Infatti, oltre che sulle discutibili finalità ed i brutali mezzi usati per vincere la guerra di conquista risorgimentale, i legittimisti di area neoborbonica puntano il dito sulle ideologie che generarono il “Risorgimento”, con tutte le aberranti conseguenze militari, sociali e politiche. Pertanto, nel  teorema appena enunciato scompare la “padella” e resta solo “la brace” del liberismo capitalistico del Nord pilotato dall’Inghilterra.
Nel brano in questione, il D’Elia dà per scontato l’infondatezza politica delle tesi legittimiste e, affermando che “paradossalmente (..) il laicismo sia stato garantito maggiormente dalla monarchia, piuttosto che dalla repubblica”, fa propri quei principi secondo i quali è giusto aggredire una nazione indipendente, depredarla delle sue ricchezze, mortificarne i valori etici e morali, sottometterla politicamente, stravolgerla culturalmente se guidata da un governo non liberale. Praticamente viene applicata la regola del “fine che giustifica i mezzi”, ma solo per pochi maledetti.
Il grande paradosso di costoro è che, per difendere le ideologie ed i principi che generarono il “Risorgimento” e, nel caso specifico, l’aggressione alla Chiesa, devono necessariamente abbracciare le tesi razziste e violente dei Savoia rinnegando, in questo modo, proprio quei principi posti alla base del vivere civile per i quali affermano di battersi ed arrivando addirittura a mortificare gli attuali enunciati repubblicani e costituzionali fondati sulla tolleranza, il rispetto e la libertà di opinione.
Sappiamo bene che i principi di libertà e democrazia per essere autentici devono essere validi ovunque ed in ogni circostanza. Essi non possono essere più o meno affievoliti a secondo dei contesti politici e sociali dove si sviluppano e dove se ne invoca l’applicazione. Se appariva contro il diritto internazionale aggredire, ad esempio, il piccolo Stato di San Marino, non si capisce per quale motivo non lo era anche per il piccolo Stato del Vaticano. Secondo un principio oggettivo, tra l’altro legato al Diritto internazionale, a decidere una sostanziale modifica dell’assetto interno dello Stato della Chiesa avrebbe dovuto essere il Governo di quello stato e non i cannoni di Vittorio Emanuele II, né, tanto meno, gli avi di D’Elia.
Non ci fu, quindi, solo una ragione politica ad indurre i Savoia ad invadere Roma, ma anche una ideologica. In buona sostanza questo il Principe Ruspoli ha interso rimarcare con la criticata iniziativa rievocativa da lui promossa, evidenziando la falsità di quei principi in nome dei quali i bersaglieri assaltarono e conquistarono Roma. Altro che “critica eccentrica degli ultimi Colonna, Borghese, Torlonia” ed altro che “cupo arroccamento tradizionalista”.
Difendere il “Risorgimento” e tutto quanto ne conseguì, compresa la Breccia di Porta Pia, significa accettare i principi aberranti che lo generarono, al di là delle apparenti buone intenzioni ostentate dalla storiografia ufficiale quale, ad esempio, l’unificazione del Paese. 
Di fronte a quanto i Savoia fecero in nome dell’Italia, andrebbe evidenziato che ben diversi erano i modi, la politica e gli assetti del progetto unitario pensato dai veri patrioti italiani. Un progetto condiviso dagli stati italici preunitari che, però, strideva enormemente e fatalmente con i diffusi interessi dell’Inghilterra nel Mediterraneo.
Interessi che vedevano in una tale probabile Italia unita un fastidioso potenziale concorrente su tutto quanto l’Inghilterra gestiva in termini di investimenti (canale di Suez) e domini (Sicilia, Maghreb, Grecia, Cipro ecc.). 
Oltre al Regno delle Due Sicilie, svincolato ed  isolato per scelta dagli intrighi economici e finanziari internazionali, il pericolo maggiore giungeva dal Vaticano, opposto per definizione dall’anglicano potere. 
Proviamo a guardare sotto questa ottica l’aggressione di Porta Pia e cerchiamo di scrutarne le vere ragioni ed i veri obiettivi, anche alla luce dell’attuale situazione mondiale.
Se questa esigenza di analisi dei revisionisti neoborbonici viene interpretata strumentalmente dai risorgimentalisti e confusa con le “mitologie padane della Lega” e “in sorprendente sinergia, sul piano di un revisionismo storico improvvisato oltre che su quello delle alleanze elettorali contingenti, con le spinte dell’integralismo cattolico”, è chiaro che ogni considerazione storica proveniente dai canali ufficiali della cultura è ancora fortemente condizionata da un’ideologia che impedisce di capire le verità di allora come quelle di adesso. Non si tratta di “distruggere il Risorgimento”, come afferma D’Elia, ma di analizzarlo, capirlo e, nel caso, condannarlo secondo i principi etici, culturali e morali della nostra civiltà.
L’apertura di D’Elia verso il brigantaggio anche in contrapposizione con la storiografia ufficiale non ci deve illudere: secondo costoro nemmeno i Briganti possono scalfire “la sacralità del ‘Rsorgimento’”.  Con l’affermazione: “si è liberati dalla retorica agiografica” e che “sulle componenti sociali del brigantaggio si è soffermata a lungo proprio la storiografia di sinistra e laica (ovviamente senza nostalgie papaline se non addirittura sanfediste), quindi della parte politica contro cui si rivolgono i recenti revisionismi”, il D’Elia svela il subdolo tentativo di appropriazione ideologica del brigantaggio. Questa recente operazione politico-culturale, messa in atto da alcuni settori dell’estrema sinistra e dell’anarchia, prende forma spogliando il ribellismo post unitario dalla originale veste politica che lo colloca inequivocabilmente tra i “reazionari” antiliberali ed antirisorgimentali in lotta contro la realizzazione di un colonialismo di sfruttamento nell’Italia meridionale. Questo significa uccidere per la seconda volta i Briganti e cioè chi, imbracciato il fucile ed imboccata la via dei monti, in nome del proprio re si difese contro un’altra civiltà venuta ad uccidere, depredare, saccheggiare e ad imporre il proprio governo e la propria ideologia. Paradossalmente è la stessa ideologia che adesso li vorrebbe come propri eroi. Finalizzata a questa appropriazione è il declassamento della reazione armata delle popolazioni meridionali da guerra di liberazione a fenomeno sociale: “il Risorgimento non può avere opposizione politica”. 
Nell’ultima affermazione del D’Elia c’è la risposta ai suoi perché. Infatti “la debolezza della voce dei laici e delle istituzioni” nella difesa del “Risorgimento” dipende proprio dal paradosso etico, dall’indifendibilità non solo delle modalità e dei mezzi utilizzati per “fare l’Italia”, ma anche dalle dinamiche politiche scese in campo che, alla luce dei recenti sviluppi, appaiono fallimentari, in molti casi aberranti e contro la stessa natura umana.  
Insomma, una manovra politico-culturale subdola dove, mentre da una parte cercano di salvaguardare alla meglio la mitologia risorgimentale, dall’altra cercano di appropriarsi di tutto quanto è ormai sfuggito dal controllo dei cattedratici: tra questi le ragioni del ribellismo popolare, più comunemente conosciuto con il nome di brigantaggio. 

Alessandro Romano



sabato 22 settembre 2012

Ordine Costantiniano XVII anniversario della sua fondazione




SACRO MILITARE 

ORDINE COSTANTINIANO DI SAN GIORGIO




Quest’anno ricorre il XVII° Centenario della Battaglia di Ponte Milvio, avvenuta a Roma nel 312 d.c. che vide fronteggiarsi gli Imperatori Costantino e Massenzio.
Prima della battaglia apparve all'Imperatore Costantino, in netta inferiorità di forze, il simbolo della Croce con la scritta "In Hoc Signo Vinces" che poi diventò il Simbolo ed il Motto dell’Ordine Costantiniano. 
Dopo la storica battaglia, Costantino vittorioso ordinò che 50 soldati nominati Cavalieri, disarmati e segnati dal Simbolo sul petto, custodissero il Vessillo crociato e che durante le future battaglie vigilassero affinché nessun soldato cristiano si macchiasse di ferocia verso i nemici feriti che, invece, dovevano essere soccorsi quali fratelli inermi.   
In occasione di tale importante evento, che segna i 1700 anni della nascita dell'Ordine Cavalleresco, la Delegazione del Lazio ha pubblicato una cartolina speciale con apposizione di annullo, "primo giorno", con francobollo in emissione congiunta con la Città del Vaticano e l'Italia. 
In allegato potrete vedere il folder curato dal Delegato Vicario Avv. Franco Ciufo, consistente dal fronte della cartolina ed il retro con il francobollo e l'annullo speciale.
La realizzazione è una rielaborazione grafica di un’antica cartolina del precedente XVI° Centenario, facente parte della collezione privata dell’Avvocato Ciufo, raffigurante le immagini di S.S. il Papa Benedetto XVI ed il Capo attuale dell’Ordine S.A.R. il Principe Carlo di Borbone delle Due Sicilie nel contesto di una allegoria d'epoca.


Cav. Alessandro Romano





venerdì 21 settembre 2012

Fra' Diavolo a Cellere





Domenica 23 settembre, alle ore 11.30, in occasione della Festa “Cellere tra natura e tradizione” sarà presentato presso il Comune di Cellere (VT), in località Valle del Timone, il libro “Fra’ Diavolo” del compatriota e confratello Daniele Iadicicco.
Questa zona del viterbese fu interessata dal “brigantaggio” operato dal Tiburzi e da altri briganti meno noti, ma tutti di forgia diversa dal Col. Pezza detto Fra’Diavolo.
Questa zona del viterbese era caratterizzata da antichi possedimenti e diritti ereditari collegati con le Dinastie delle Due Sicilie, ricadendo nel Ducato di Castro titolo da sempre appartenuto ai Borbone delle Due Sicilie. 
Infatti attualmente il Duca di Castro è il Principe Carlo di Borbone delle Due Sicilie, Gran Maestro del Sacro Militare Ordine Costantiniano di San Giorgio.

Compatrioti ed amici sono invitati all’evento.








mercoledì 19 settembre 2012

Ricomincio da Sud - E' qui il futuro d'Italia




- sintesi del primo capitolo -


L’America d’Italia sarebbe oggi il Sud se tutti vi scendessero con gli occhi pronti a stupirsi e col taccuino disposto a registrare. Se vi scendessero non solo per accertare se sia più un <paradiso abitato da diavoli>, o più un <inferno abitato da angeli>. Se vi scendessero con lo spirito del viaggiatore che vede cose nuove se vuole vederle. Perché solo così potrebbe rendersi conto che, come l’America per il mondo di allora, il Sud è il futuro d’Italia e che l’Italia ha futuro solo a Sud. Perché come allora una vecchia Europa sfiatata rifiorì in quella luce da oltre Atlantico, così oggi una vecchia Italia non meno sfiatata potrebbe risollevarsi con la bombola d’ossigeno del Sud.
 <Ricomincio da Sud>, e non ricominciando da zero ma da tre come il titolo del famoso film di Massimo Troisi. Ora è ovvio che qualcuno potrebbe dire: ci vorrebbe una centrale al plutonio per far guizzare una speranza da un posto che ha perso esso stesso ogni speranza. Un posto dal quale chi ci vive fugge e chi ci vuole andare è messo in fuga. 
 Tutto questo è vero se non parte una visita guidata al Sud. Una visita guidata che non si limiti ad addentrarsi nel solito lato B del Mezzogiorno ma ne percorra il lato A, che vada a vedere ciò che per pigrizia, per malafede, per partito preso, per ignoranza, per assuefazione non si vede. Una visita guidata che spezzi il monopolio di un Sud mai descritto da se stesso ma sempre pensato da altri solo come divario e sottosviluppo.
 Un male che al Sud c’è. Ma la visita guidata dovrebbe rivelare anche che, se il Sud non ha sufficienti industrie, ha comunque un numero di industrie inaspettate e floride. Rivelare che, se il Sud ha un reddito inferiore al Centro Nord, ha comunque un reddito superiore a quello di buona parte del pianeta. Rivelare che, se dal Sud continua l’emigrazione, ci sono anche quelli che rimangono e, udite udite, quelli che tornano. E che se il Sud avesse potuto crescere in 150 anni come il Centro Nord, oggi tutta l’Italia sarebbe tanto ricca da superare Francia e Germania. Uno spreco di Sud. E però l’Italia è fra le prime dieci del mondo anche grazie al Sud. E del Sud non può fare a meno per rimanerci.
 Se non ci fosse il Sud, l’Italia avrebbe un quarto in meno della sua ricchezza. Se non ci fosse il Sud, l’Italia non avrebbe quasi tutto l’acciaio per le sue auto, le sue navi, i suoi locomotori e dovrebbe mangiare con forchette di plastica. Ma se non ci fosse il Sud, non avrebbe neanche le forchette di plastica perché quasi tutta la plastica italiana si produce al Sud. Se non ci fosse il Sud, l’Italia non avrebbe tutti gli aerei che sforna ogni anno. Se non ci fosse il Sud, l’Italia non avrebbe gran parte della sua benzina e tutto il suo petrolio. Se non ci fosse il Sud, l’Italia non avrebbe gran parte delle sue pillole e dei suoi antibiotici. Se non ci fosse il Sud, l’Italia non potrebbe far funzionare buona parte dei suoi computer e dei suoi telefonini. Se non ci fosse il Sud, l’Italia avrebbe metà della sua energia elettrica e neanche un watt della sua energia dal vento e dal sole. Se non ci fosse il Sud, l’Italia non avrebbe tutto il suo olio d’oliva benedetto. Se non ci fosse il Sud, l’Italia avrebbe meno della metà delle sue auto, dei suoi camion, dei suoi trattori. Se non ci fosse il Sud, l’Italia non avrebbe le mozzarelle per le sue pizze e la dieta mediterranea per la sua linea. 
  Soprattutto, se non ci fosse il Sud, l’Italia non avrebbe quel margine di potenza inespressa, quell’accelerazione in più, quei chilometri di velocità oltre i limiti che servono in situazioni estreme, la sgommata che conserva la vita. Sono i giovani, una grande possibilità di sviluppo che potrebbe sprigionarsi se solo la si mettesse in condizione di farlo, se solo non la si ignorasse. C’è bisogno di più Sud, non il contrario. 
 E poi, si sta spostando l’ombelico del mondo. E’ cominciato con la caduta del Muro di Berlino. Il mondo si è aperto. L’Adriatico ha finito di essere un mare che divideva più che unire ai Balcani. E se le rivoluzioni <via Internet> di Tunisia, Egitto, Libia non hanno portato tutta l’attesa democrazia, di certo però quei Paesi si sono rimessi in moto, sono popoli in cammino verso l’Europa. E intanto la Turchia cresce al 10 per cento l’anno e la stessa Africa intera viaggia sul 7 per cento. Il Mediterraneo ritorna centrale come unico mare su cui si affacciano tre continenti in fermento. 
 La nostra visita guidata al Sud servirà a capire tutto questo. Nella terra <dove fioriscono i limoni> ci inoltreremo in una sorprendente prateria di cose fatte e di cose da fare. Vedremo l’orgoglio meridionale di chi sa che, se di produzione si vive, di sola produzione non si può vivere. Vedremo, come dice Guicciardini, che le difficoltà sono anche opportunità. Vedremo, come dicono i cinesi, che <crisi> vuol dire anche <occasione>. Vedremo, come dicono i filosofi, che dove crescono i mali fioriscono le possibilità di salvezza. Vedremo che Mezzogiorno è l’ora dalla quale ripartirà tutto.          









martedì 18 settembre 2012

Scacco alla Lega Nord



UN  SICILIANO VINCE

IL GIRO DELLA PADANIA

di

Ignazio  Coppola




Vincenzo Nibali, messinese corridore dell’estremo sud soprannominato “ lo squalo dello stretto”, ha vinto la II edizione del giro della Padania: corsa in cinque tappe dal Piemonte al Veneto, passando per l’Emilia, organizzata, promossa e fortemente voluta dalla Lega Nord.
La notizia dal punto di vista sportivo non fa una grinza, ma la fa dal punto di vista del paradosso per il fatto che un siciliano doc vinca, appunto, il giro della Padania leghista. 
Ora che un siciliano, razza inferiore del profondo sud, di quel sud che è la palla al piede allo sviluppo del paese e che vive alle spalle dei settentrionali, abbia vinto il giro della Padania è stato un schiaffo morale e sportivo ed uno smacco insopportabile che ha fatto diventare schiumanti e “ verdi” di rabbia, più delle loro camicie, delle loro cravatte e dei loro fazzoletti, i dirigenti leghisti Borghezio, Salvini, Calderoni e la famiglia Bossi in testa che hanno avuto la brillante idea di promuovere questo giro della Padania. 
E uno dei maggiori artefici, prima di cadere in disgrazia, pare sia stato lo stesso Renzo Bossi, meglio noto come il Trota, con delega allo sport nel partito avendo promosso oltre che la nazionale della Padania, lo stesso giro della Padania. 
“Mal gli è ne incolse”, dopo gli altri danni per le note vicende procurate al suo partito, se alla fine a vincere il giro è stato il meridionalissimo e siculissimo Vincenzo Nibali. Il quale, pare abbia dichiarato alla fine della corsa in maniera molto riservata per non dispiacere i leghisti esterefatti, sconcertati e rabbiosi per il suo successo, che ci teneva, per il fatto di essere siciliano e meridionale, a vincere il giro della Padania ancor più che l’’Olimpiade e lo stesso campionato Mondiale che si correrà nei prossimi giorni a  Limburg in Olanda.
Pare che dopo questo incidente di percorso della inattesa e sgradita vittoria di Vincenzo Nibali, ci sia stata a Pontida un urgente riunione del dipartimento dello sport della Lega Nord, assente il Trota destinato ad altri incarichi, dove per correre ai ripari si è deciso irrevocabilmente, per i giri della Padania nei prossimi anni, di non invitare più meridionali e ancor che siciliani. Così l’onore sportivo della Padania sarà salvo prima che il destino possa giocare ulteriori brutti scherzi come quelli di quest’anno. 
“Nibali l’imprevisto” a tal proposito così titolava la Gazzetta dello sport  e poi così proseguiva: “ Il destino gioca brutti scherzi vincenti. Il Padania non poteva premiare due corridori meno padani di chi ha vinto la quinta ed ultima tappa, Carlos Bentancur, e di chi ha vinto il giro Vincenzo Nibali. Se non altro per le distanze geografiche: Bentancur è nato dall’altra parte del mondo in Colombia a Ciud Bolivar e Vincenzo Nibali è lo squalo dello stretto, quello di Scilla e Cariddi , cioè di Messina”.
Grazie Vincenzo per avere dato a noi siciliani e ai meridionali questa significativa, pregnante ed eloquente soddisfazione e auguri per il tuo prossimo campionato mondiale. Una maglia iridata conquistata da un siciliano ad un campionato del mondo, val bene mille maglie verdi con rune celtiche conquistate al giro della Padania. Del resto, a ben pensare, la Padania non esiste e non è mai esistita, la rifiuta e la disconosce persino la memoria del computer che sottolinea in rosso quando, appunto, proviamo a scrivere la parola Padania. E’ solo un escremento geografico presente nelle menti bacate di quelle camice verdi che promuovono giri ciclistici per certificarne l’esistenza. 





lunedì 17 settembre 2012

Lino Patruno



LE NOSTRE SCUSE ALL'IDRAULICO


Sabato 1 Settembre 2012 da " La Gazzetta del Mezzogiorno "

di
Lino Patruno


Metti che in uno dei giorni d’agosto ti si fosse rotto un rubinetto. Panico peggiore che vedere Angela Merkel nuda. Anche perché quest’anno solo quattro italiani su dieci sono andati in vacanza, ma fra quei quattro c’era di sicuro l’idraulico. Lo sappiamo quando vengono, non sembrano idraulici ma direttori di cliniche universitarie, di quelli che “300 senza fattura e 400 con fattura”, di quelli che lo vedi a mille miglia che non stanno pensando alla tua sciatica ma alla loro barca. Né i prezzi sparati dall’idraulico sono prezzi da idraulico, cento euro per mezzora. E se obietti si fanno piccoli piccoli tutti sudati e sporchi mentre hanno quotazioni da gioiellieri.
Eppure ce lo meritiamo. Abbiamo voluto fare tutti i laureati condannati ai concorsi e al precariato e ci sono mancati gli idraulici che, secondo legge economica, valgono tanto più quanto meno sono. E gli abbiamo dato un tale basso prestigio sociale che ci ribelliamo quando pretendono molto al di sopra di quel presunto basso prestigio sociale.
MESTIERI SEMPRE PIU’ PREZIOSI 
Ma vogliamo parlare anche del muratore? Provate a chiamarlo per un lavoro in casa, vi andrà bene se risponde al telefono. Poi ci lamentiamo con ironia fuori posto definendolo “signor muratore”. E così il falegname, anzi ebanista perché bisogna stare attenti alle offese. Così come tutti noi avremo vissuto il tentativo di mettere un chiodo senza buttare giù la parete, roba da film horror di Dario Argento. E addirittura inutile parlare della tv che improvvisamente si pianta, in genere a fine settimana. Chiami un numero verde che ti sbatte ad un altro numero verde, facendoti sentire al di sotto della media dignità umana. Se ti va bene ti risponde uno in carne e ossa che comincia a darti suggerimenti da minorati mentali, tipo stacchi e riattacchi la spina, dovrebbe pure immaginare che lo abbiamo fatto inutilmente già venti volte.
Né le moderne diavolerie dell’elettronica sono più caritatevoli. Un tempo bastava smontare tutto come fanno i bambini con i giocattoli, ogni cosa aveva una sua logica, un pezzo non poteva che essere incastrato in un certo modo con un altro pezzo. Ora i pezzi sono inscatolati in fogli elettronici più extrapiatti di orologi, è inutile metterci mano perché non ci entri neanche, occorre vederli al computer. Col risultato che, per esempio, prima in un’auto il filo dell’acceleratore capivi dove stava e potevi tentare di arrivarci, ora non lo vedi e se l’auto perfetta decide di piantarsi puoi prenderla a calci ma continuerà a segnalare il guasto senza pietà. Era tutto più perfetto quando era tutto più imperfetto.      
 Abbiamo disperato bisogno di aggiustatutto e continuiamo a mandare i figli all’università per aumentare i disoccupati. Così ogni tanto, anzi ogni poco un’indagine ci segnala che un giovane su tre non ha lavoro, ma che mancano cuochi, infermieri, informatici. A parte gli idraulici, che neanche vengono considerati. Eppure, in un tempo in cui, più che costruire case che nessuno ha il mutuo per comprare, si fa manutenzione, uno che sappia mettere le mani ovunque potrebbe farsi il conto in banca anche se non viene chiamato dottore.
MODIFICO-AGGIUSTO 
Così dovrebbero nascere imprese di giovani che abbiano l’altissima professionalità per non rimanere impotenti di fronte a una serranda che si incaglia o al motorino di una lavatrice che si bruci. E se prima per aggiustare un paio di scarpe si andava al calzolaio, anzi non si andava più perché pareva brutto, ora cominciano a nascere piccole imprese di calzoleria dove bisogna fare la coda per entrare. E così i pantaloni da accorciare, era più facile trovare petrolio che un sarto, anche perché gli aspiranti sarti non volevano fare i sarti ma gli stilisti. Ora ci sono ovviamente aziende multinazionali che ti fanno qualsiasi lavoro in un giorno.
Non meraviglia allora che il giornalista Federico Rampini racconti di un ben pagato intellettuale americano laureato in filosofia politica che ha capito tutto e scritto il libro “Il lavoro manuale come medicina dell’anima”. Anzi è diventato il santone dei lavori che si fanno toccando il risultato immediato del proprio lavoro, nel suo caso riparare (non meno pagato) motociclette. E non meraviglia che il sito internet WikiHow, manuale universale del modifico-aggiusto, in un anno abbia avuto 177 milioni di visitatori da 241 Paesi. 
Abbiamo disperato bisogno di queste professionalità, e continuiamo a schifare come pezzenti le scuole professionali che le danno. 

domenica 16 settembre 2012

La Principessa Beatrice di Borbone a Napoli






Domenica 16 settembre 2012, alle ore 12, presso la Basilica di Santa Chiara in Napoli, Festa della Celebrazione della Santa Croce alla presenza della Principessa Beatrice di Borbone, sorella di S.A.R. Carlo di Borbone, Capo della Real Casa di Borbone Due Sicilie e del Sacro Militare Ordine Costantiniano di San Giorgio. 
Presenti i rappresentanti della Guardia d'Onore alle Reali Tombe dei Sovrani Borbone delle Due Sicilie (istituita, dopo anni di attesa, dal Cav. Luigi Andreozzi)  e i dirigenti del Movimento Neoborbonico.   



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La Principessa di Borbone nominata da Del Gaudio “Ambasciatrice di Caserta nel mondo”        



CASERTA - "La città è orgogliosa del vostro ritorno alle origini e di ospitare una tappa del vostro viaggio nei luoghi che custodiscono le radici e la storia di tutti noi. La vostra presenza è il segnale di un interesse per Caserta che travalica i confini nazionali e che va moltiplicato, per il rilancio della città e per produrre economia sul nostro territorio. Per questo, ho intenzione di affidare alla Principessa Beatrice di Borbone, che vi ha indirizzato a questo meraviglioso viaggio nella storia dei vostri avi, il ruolo di ambasciatrice di Caserta nel mondo. E' lei la persona giusta che, con il cuore in mano, può illustrare bellezze, tradizioni e le tante opportunità della nostra meravigliosa terra". Lo ha detto il sindaco Pio Del Gaudio, accogliendo, al Reale Belvedere di San Leucio, la Principessa Beatrice di Borbone e una nutrita delegazione dei membri della Niaf, National italian american foundation, la più importante organizzazione rappresentativa degli oltre 20 milioni di cittadini italo-americani che vivono negli Stati Uniti che sono stati invitati dalla principessa Beatrice di Borbone a condividere un viaggio eccezionale tra Napoli e Caserta sulle tracce del Regno.
La National italian american foundation (Niaf), con sede a Washington. nasce nel 1975. E’ la più importante organizzazione rappresentativa degli oltre 20 milioni di cittadini italo-americani che vivono negli Stati Uniti. Promuove lo sviluppo dei rapporti economici e culturali tra Italia e Stati Uniti e mantiene vive oltreoceano le tradizioni italiane e la memoria del contributo dato dall’Italia alla crescita degli Usa. A sua volta la Principessa ha risposto dichiarando: "Sono molto contenta di essere qui, in un posto che mi è tanto caro e nel quale risiede la mia storia. Vi ringrazio dell’accoglienza cordiale che mi avete riservato, questo nostro incontro è stato tutto possibile grazie alla collaborazione con Valeria Della Rocca e il suo staff, che mi hanno aiutata nel creare una sinergia tra le istituzioni locali al fine di valorizzare il patrimonio delle città di Napoli e Caserta".

Fonte: L'Eco di Caserta
Domenica 16 Settembre 2012

Foto PUPIA