giovedì 13 gennaio 2011


TUTTI A GAETA !

A 150 ANNI DALLA FINE DEL
REGNO DELLE DUE SICILIE
11, 12 e 13 FEBBRAIO 2011

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1991 – 2011

XX CONVEGNO NAZIONALE

DELLA FEDELISSIMA CITTÀ DI GAETA

11, 12 e 13 FEBBRAIO 2011

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Mai come quest’anno a Gaeta sarà celebrata una delle pagine di storia più eroiche della nostra Terra.
Gaeta è una tappa obbligata, un momento di vera condivisione di ideali, un’occasione d'incontro indispensabile anche per accrescere le conoscenze storiche, il luogo dove ricordare con riconoscenza chi seppe immolare con dignità e coraggio la propria vita in difesa di una Patria vera e felice.Quest’anno il tradizionale incontro avverrà esattamente nei giorni di quelle vicende, intorno e sopra gli spalti che videro soffrire e morire gli ultimi legittimi difensori della nostra antica Patria delle Due Sicilie.

L’evento, nato con lo spirito “istituzionale” di riportare alla luce il patrimonio di verità storica che appartiene a tutti i Meridionali, si svolgerà, come ogni anno, con il patrocinio e la collaborazione della Regione Lazio, del Comune di Gaeta, della Camera di Commercio di Latina, del Sacro Militare Ordine Costantiniano di San Giorgio, dell’Associazione Naz. Ex Allievi della Nunziatella, della Confcommercio di Latina, dell’Ascom Gaeta, della Pro Loco Gaeta, e di numerosi altri Enti ed Associazioni aderenti all’iniziativa.


PROGRAMMA DELL’EVENTO


Venerdì 11 febbraio
Centro Storico Culturale "Gaeta", Via Annunziata 7

ore 17.00: Inaugurazione della mostra sull'Esercito Borbonico;
ore 17.30: Presentazione ufficiale della medaglia celebrativa del Comune di Gaeta per il 150° dell'Unità d'Italia;
ore 18.00: Presentazione del libro di Aldo Vella "Gaeta, il fuoco e la polvere" (Edizioni Il Castello) alla presenza dell'autore.

Sabato 12 febbraio
ore 10.30: “RITORNANO I BORBONE. LA VITA E LA FESTA A GAETA AI TEMPI DELL’ASSEDIO”. Percorso rievocativo di sapori, soldati, musiche e tradizioni del Popolo Gaetano e del Regno delle Due Sicilie.
A cura di: CAT Confcommercio della Provincia di Latina, Associazione Commercianti Gaeta

Partenza dalla Chiesa degli Scalzi e arrivo alla Porta Carlo III

La città festeggia un rievocativo ritorno dei Borbone. Al corteo partecipano figuranti: re, regina, corte, popolo in costumi serici settecenteschi, preceduti dalla parata dei Reggimenti dell’Armata di Terra e di Mare del Regno delle Due Sicilie completi di un cannone trainato a mano. Saluto con salve di cannone e di fucili.Lungo il percorso rievocativo concerti di musica tradizionale e brigantesca dell’ 800.Degustazione delle pietanze tipiche del Ducato di Gaeta.
ore 12.00: Riapertura simbolica della PORTA CARLO III.
Commemorazione del Centocinquantenario dell’Assedio da parte del Sindaco di Gaeta e delle Autorità.
ore 15.30: Hotel Serapo, Convegno storico e dibattito finale
Interverranno storici, giornalisti, meridionalisti e scrittori.Saranno esposti stand con libri ed oggettistica.
ore 21.00: Tutti a Tavola! Menù storici dell’assedio del 1860-61 nei ristoranti di Gaeta Medievale.
Musica e canti che ci faranno rivivere le incantevoli notti del Regno.

Domenica 13 febbraio
ore 10.30: Messa Solenne in suffragio dei Caduti del 1860/61, nel Tempio di San Francesco (ricostruito dal Re Ferdinando II di Borbone in onore del Papa Pio IX)
ore 12.00: Cerimonia del lancio a mare della corona di fiori offerta dalla Nunziatella in memoria dei Caduti del 1860-1861.Rievocazione storica con alzabandiera, salutato a salve di cannone e fucili lungo gli spalti ove esisteva la Batteria Transilvania, a cura dei Raggruppamenti storico-militari delle Armate di Terra e di Mare del Regno delle Due Sicilie.


A breve sarà diramato il programma ufficiale dell’evento

e l’invito a tutti gli eredi delle Due Sicilie.


Il pubblico del Convegno potrà usufruire di convenzioni presso:

HOTEL SERAPO (Gaeta, tel.0771 450037, fax311003)

Ristorante ANTICO VICO (Gaeta Medievale, vico del Cavallo, tel. 0771 465116)

Ristorante RE FERDINANDO II (Gaeta Medievale, via Faustina, tel. 0771 464125)

Nonché in ristoranti che saranno resi noti nei prossimi giorni
Sia per l’albergo che per il ristorante è indispensabile la prenotazione entro il 09 febbraio 2011


domenica 9 gennaio 2011

L'Opinione

IL TRICOLORE UNA MADRE CON TANTI PADRI
di Felice Abbondante

Il nostro Capo dello Stato ha ritenuto opportuno dare inizio alla “commemorazione” dei 150 anni della nazione col recarsi nella città di Reggio Emilia dove era apparsa per la prima volta la bandiera tricolorata. Egli non ha mancato di sottolineare come debba essere rispettato da tutti il simbolo che sta a indicare la storia nel bene e nel male vissuta da tutta una comunità. I giornali della penisola hanno subito individuato a chi erano rivolte le sue parole. Come al solito si è parlato alla nuora affinché la suocera intenda. Non mi risulta che sia stato accennato alla storia che ha consacrato la nascita della bandiera pertanto, al fine di ovviare a tale mancanza, provvederò umilmente a tracciare la storia di quella nascita. E’ necessario fare un passo all’indietro poiché tutte le nascite necessitano di un periodo più o meno breve di gestazione ed anche il nostro simbolo nazionale lo ha avuto. Nell’ottobre del 1796 col passaggio del Po effettuato dall’esercito francese per invadere la Lombardia, gli abitanti di Milano assistettero in silenzio e senza festeggiare la partenza dell’arciduca Ferdinando che si ritirava verso il più pacifico Veneto. Sembrava impossibile che nessuno esultasse, Napoleone non poteva entrare nell’indifferenza a Milano pertanto, un tale Carlo Salvador, nato in Italia, spagnolo di origine, vissuto in Francia, si preoccupò di dare all’invasore francese il benvenuto. I facinorosi mostrarono per la prima volta sui loro petti una coccarda tricolorata ma non era quella italiana bensì quella francese. Quello però che pochi sanno è che il nostro simbolo nazionale era già evidenziato qualche anno prima che scoppiasse la rivoluzione francese e che faceva bella mostra nella Loggia degli Illuminati di Baviera voluta da Giuseppe Balsamo sedicente conte di Cagliostro. Nel gennaio del 1797 infine, le città cispadane riunite a Reggio decretarono “di adoperare i tre colori rosso, bianco, verde come bandiera in tutti i luoghi ove si alza insegna di sovranità”. Dalla federazione cispadana la bandiera passò alla Repubblica Cispadana e infine al Regno Italico. Nel periodo napoleonico la bandiera fu italiana solo di nome, la sua effimera gloria conquistata di qua e di là delle Alpi fu sempre al servizio di interessi stranieri ovvero francesi. Fu soltanto nel 1831 che divenne simbolo italiano. In conclusione, come tutte le nascite che sono dubbie, vi è soltanto una madre e con tanti padri...

venerdì 7 gennaio 2011



LAPIDI BORBONICHE
AD ARCE



Ci scrive l’Avv. Ferdinando Corradini, fedele e rigoroso cultore della storia patria, quella vera.
Egli spesso ci fa partecipi di particolari scoperte storiche e di singolari iniziative culturali: questa volta ci segnala l’apposizione di alcune lapidi commemorative, presso un antico palazzo della bellissima Arce, che ricordano il periodo felice di una Terra ora lasciata all’abbandono ed al degrado politico-sociale e, di conseguenza, culturale.
La cosa che ci lascia positivamente colpiti, oltre all’iniziativa in se stessa, è che per la prima volta in assoluto che in una iscrizione marmorea viene indicato il termine identificativo legittimista di “compatriota”.
Il nostro vivo plauso all’autore dell’iniziativa, il coraggioso Ing. Marco Marrocco, al quale speriamo presto di manifestare nel modo che giustamente merita la nostra più sincera riconoscenza.

Cap. Alessandro Romano

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Carissimo Capitano,
In allegato ti invio le foto di due lapidi apposte al palazzo Tronconi di Arce. La prima ricorda la presenza nello stesso di S.M. Ferdinando IV di Borbone, il 22 Novembre 1798. La seconda ricorda Nicola Grossi, il quale, nella sua veste di Capitano della Guardia Urbana di Arce, il 27 Maggio 1849, oppose resistenza armata a Giuseppe Garibaldi, venuto, dalla Repubblica Romana, alla testa di quattromila uomini, alla conquista delle Due Sicilie.
Le lapidi sono state "scoperte" il 6 Novembre 2010 alla presenza del sindaco di Arce, dott. Roberto Simonelli, del vice sindaco, avv. Lucio Simonelli, dell'assessore alla cultura, dr.ssa Brigida Fraioli, del presidente del consiglio comunale, dr. Gianfranco Germani, nonché del Soprintendente ai Patri Confini e deputato al Parlamento delle Due Sicilie Argentino Tommaso D'Arpino.
Promotore e mecenate dell'iniziativa è stato l'ing. Marco MARROCCO, il quale ha da poco acquistato una porzione del detto palazzo Tronconi appassionandosi alla storia dello stesso, come pure a quello del nostro Regno.
Un forte abbraccio


Ferdinando Corradini



























giovedì 6 gennaio 2011


PIZZA A RISCHIO

La pizza napoletana STG a rischio


di Angelo Forgione





Altra insidia per la città: l’Europa potrebbe togliere nel 2017 alla pizza napoletana il marchio STG, Specialità Tradizionale Garantita.
Si è già scatenata la protesta dei pizzaioli napoletani per dire “no” a questa eventuale scellerata scelta del UE, durante la quale è stata sfornata una pizza listata a lutto.
L’ex assessore provinciale Francesco Borrelli ha parlato di sgambetto scorretto della Lega nei confronti dell’Italia e della pizza che rappresenta da sempre l’italianità nel mondo. Dietro la richiesta di ritiro del marchio STG alla pizza napoletana ci sarebbero infatti due eurodeputati della Lega Nord.
«Il ministero dell'Agricoltura ci ha abbandonati e la Lega rema contro di noi», hanno detto i pizzaioli napoletani dietro a cartelli contro la Lega e la Ue. «Ci sono voluti dieci anni di battaglie per ottenere il marchio Stg - ha dichiarato sconsolato Sergio Miccù, presidente dell'Associazione Pizzaioli Napoletani - mentre sono serviti pochi mesi per levarcelo.
Da quando la Lega gestisce il Ministero dell'Agricoltura - ha proseguito un disgustato Miccù - i pizzaioli napoletani sono stati messi in ginocchio. L' ex Ministro Zaia non venne neanche a festeggiare il riconoscimento Ue, preferendo il panino Mc Italy di McDonald's (che si inventò per promuovere i prodotti del nord).
Al Ministero ci stanno facendo girare da mesi nei vari uffici per non concludere nulla. Adesso il vaso è colmo non staremo più zitti».
Da venerdì le pizzerie napoletane metteranno i drappi a lutto, un forte segnale di protesta contro il Governo e la UE.

lunedì 3 gennaio 2011





NOVITÀ EDITORIALE

“ ‘O SURDATO ‘NNAMMURATO “








Un mesto e commosso omaggio ai grandi poeti e compositori napoletani che ingenuamente e generosamente, in nome della Patria che non c’era e che non c’è, hanno glorificato le guerre colonialistiche scatenate dalla bellicosa dinastia savoiarda, e dalla vorace borghesia capitalistica padana che oggi, in vista di nuovi orizzonti “globalizzati” e di nuove e più redditizie colonie di sfruttamento extracomunitarie, ha deciso di disfarsi dello spremuto e ingombrante fardello della ex colonia di Terronia.
Un mesto e commosso omaggio ai terroni siciliani, calabresi, pugliesi, lucani, molisani, campani che andavano a farsi massacrare in difesa dei Sacri Confini del Grande Piemonte Allargato, che chiamarono Italia.





Antonio Grano
‘O surdato
‘nnammurato

Studio sociologico su 190 brani del repertorio
della Canzone Classica Napoletana (1880-1945)
dedicati al tema della guerra

http://www.ilmiolibro.it/

Gruppo Editoriale L’Espresso S. p. A.

Altre opere di Antonio Grano sul Risorgimento;
-La chiamarono unità d’Italia...
-Io, brigante calabrese

Info:
antonio.grano@tin.it
http://www.antoniograno.it/
347-6787-061


domenica 2 gennaio 2011

L'OPINIONE

Cari fratelli d’Italia del Nord,
voi non avevate alcun diritto!

- di Ubaldo Sterlicchio -


Cari fratelli d’Italia del Nord,
per oltre un secolo e mezzo il Sud è stato violentemente bersagliato dalle vostre denigrazioni. Non avete risparmiato nulla e nessuno: i re Borbone, le leggi borboniche, l’amministrazione borbonica, l’esercito borbonico (quello da voi chiamato “di Franceschiello”), le carceri borboniche (da voi definite “famigerate” e “disumane”). Con una sola dizione, avete definito il Regno delle Due Sicilie «negazione di Dio eretta a sistema di governo». Ad onor del vero, ci fu chi lo fece per voi: questa definizione fu coniata dal signorotto inglese William Gladston; costui, peraltro, ritrattò successivamente le sue affermazioni ed ammise candidamente di aver inventato di sana pianta le “notizie-calunnie” contenute nelle sue famose lettere a lord George Aberdeen. Badate bene, correva l’anno 1851 ed era appena iniziato quello che la “vostra” storiografia risorgimentale ha, con tronfia retorica, chiamato “decennio di preparazione”.
Dopo la mera unificazione territoriale dell’Italia nel 1860-61, la storia di quei fatti e misfatti che voi chiamate “risorgimento” fu scritta in funzione dei nuovi padroni, i Savoia e, per giustificare a posteriori l’illecita invasione del Regno delle Due Sicilie (uno Stato plurisecolare, legittimo, sovrano, indipendente ed in pace con tutti: giammai aggressore, ma sempre aggredito!), andaste giù ancor più di brutto con le calunnie e con le denigrazioni che, questa volta, bersagliarono anche il popolo delle Due Sicilie.
Fu, innanzitutto, inventata e propagandata la più grande menzogna risorgimentale: quella del degrado e della miseria del Sud povero ed arretrato, a differenza del Nord, in particolare il Piemonte, asseritamente ricco ed evoluto. Poi, un tale dottor Cesare Lombroso mise a punto una fantasiosa teoria pseudo-scientifica e a dir poco razzista, in virtù della quale noi meridionali fummo considerati esseri appartenenti ad una razza inferiore e geneticamente inclini al delitto; e ciò, affinché i nostri patrioti, insorgenti e resistenti contro la feroce dittatura sabauda, fossero infamati con il marchio di “briganti” e fossero trattatati, sic et simpliciter, come delinquenti comuni.
Ma, allora, Vittorio Emanuele II e Cavour furono dei grandissimi sprovveduti ad invadere e conquistare il Regno delle Due Sicilie? Furono degli autolesionisti, perché, così facendo, vennero a legarsi una pesante “palla al piede” e ad accollarsi tutti nostri mali? Perché mai si scomodarono così tanto? Forse per realizzare gli “alti ideali” dell’unità e dell’indivisibilità della patria italiana?
Nulla di tutto questo!
I Savoia ed i loro sodali non furono né sprovveduti né autolesionisti, ma solo furbi ed opportunisti, che vennero a depredare il Meridione d’Italia per evitare la bancarotta del misero Piemonte, all’epoca indebitato fino al collo per le gravose spese sostenute a causa della dissennata politica militarista e guerrafondaia del megalomane Cavour; tanto è vero che i sabaudi avevano già dovuto cedere (rectius: vendere) la loro terra d’origine, cioè la Savoia, alla Francia. Queste notizie si rinvengono nel pamphlet, dal titolo "Fra un mese", pubblicato nel 1859 dal deputato piemontese (badate bene: non da un borbonico!) Pier Carlo Boggio.
Cari fratelli d’Italia del Nord, voi potete pure continuare a dire quello che volete ed a perseverare nel racconto di tutte quelle fandonie che, dopo un secolo e mezzo, ci hanno solamente tediato; ma un solo concetto vorrei che comprendeste ed assimilaste bene una volta per tutte: “Voi non avevate alcun diritto!”.
Mi spiego meglio.
Non avevate il diritto di venire al Sud per comandare in casa nostra!
Non avevate il diritto di invadere la nostra Patria!
Non avevate il diritto di aggredirci con una banda irregolare in camicia rossa, guidata da un capo altrettanto irregolare, di nazionalità estranea al Regno stesso e che nessuno aveva chiamato, all’infuori di alcuni oppositori del regime borbonico (legalmente e legittimamente vigente!), ideologicamente impegnati e, per tale qualità, entrati e usati in un gioco politico internazionale non favorevole alle Due Sicilie. Costoro furono solo degli spregevoli collaborazionisti, che si macchiarono di “alto tradimento” ed ”intelligenza con il nemico”, reati questi puniti, in ogni tempo e in ogni luogo, con pene draconiane.
Non avevate il diritto di occupare e devastare la nostra Terra con un esercito straniero (più francese che italiano) di 120mila uomini (capeggiati, peraltro, da veri e propri criminali di guerra), senza alcuna giustificazione, ragione, o motivazione politico-giuridica e, soprattutto, senza una dichiarazione di guerra; e se ancora non ve ne siete resi conto, dovete capire una volta per tutte che quest’ultima gravissima omissione, violando le più elementari norme di Diritto Internazionale (in primis, quella che sancisce il diritto dei popoli all’autodeterminazione), rese tutte le azioni belliche, garibaldine prima e piemontesi dopo, ipso facto, solo dei barbari atti di pirateria, indegni per chiunque voglia vivere nel consesso delle nazioni civili.
Non avevate il diritto di bombardare, ferocemente ed indiscriminatamente, le nostre fortezze e gli annessi abitati, sommergendoli con decine di migliaia di bombe (solo su Gaeta ne faceste cadere addirittura 160mila!), seminando in tal modo distruzioni nei borghi e morte fra le popolazioni inermi.
Non avevate il diritto di incendiare e radere al suolo i nostri paesi (lo furono ben 84!).
Non avevate il diritto di saccheggiare le nostre case, di profanare le nostre chiese, di smantellare le nostre fabbriche, di depredare i nostri arsenali, di spogliare i nostri musei e le nostre regge, nonché di svuotare le nostre banche per riempire quelle del Nord.
Non avevate il diritto di incendiare le nostre messi, di distruggere i nostri raccolti, di ammazzare i nostri animali e di sottrarci ogni bene di sostentamento.
Non avevate il diritto di stuprare le nostre donne!
Non avevate il diritto di massacrare il nostro popolo con fucilazioni indiscriminate, eseguite in massa, senza processi e senza prove, cagionando complessivamente la morte di 1 milione di meridionali su 9 milioni di abitanti, quanti ne contava allora il Regno delle Due Sicilie. Fu una mattanza, un vero e proprio genocidio, una “pulizia etnica” senza precedenti; non furono risparmiati nemmeno vecchi, donne e bambini.
Non avevate il diritto di violare tutti gli “accordi di capitolazione” sottoscritti anche da voi, venendo meno ai patti (non sapevate che pacta sunt servanda?) ed all’onore militare, deportando i nostri giovani soldati (oltre 50mila) nei campi di sterminio sabaudi del Nord, facendoli ivi morire di fame, di freddo, di stenti, di malattie, e sciogliendo infine i loro corpi nella calce viva!
Non avevate il diritto di usurpare (con la corruzione e con l’inganno prima, nonché con la violenza dopo) il Trono delle Due Sicilie, sottraendolo al suo legittimo sovrano napoletano (nato e cresciuto a Napoli in una famiglia che era napoletana da oltre 100 anni) e, pertanto, italiano a tutti gli effetti.
Non avevate il diritto di annettere al Piemonte il Regno del Sud, trasformandolo in una colonia del Nord, contro la volontà manifestamente contraria del popolo delle Due Sicilie.
Non avevate il diritto di cancellare le nostre ottime leggi e di imporci, con la prepotenza e l’arroganza del vincitore, quelle vigenti da voi in Piemonte, sebbene fossero estranee alla tradizione giuridica dello Stato nazionale più antico d’Europa (nato nel lontano 1130) che, peraltro, affondava le proprie radici nella cultura magnogreca.
Non avevate il diritto, a fronte delle nostre sole 5 (cinque!) tasse, di imporci decine e decine di odiosi balzelli di cui, fino al 1860-61, non immaginavamo neppure l’esistenza.
Non avevate il diritto di far materialmente “sparire” dalla circolazione la nostra solida moneta (tutta in metallo pregiato: oro, argento, bronzo, che aveva un suo valore intrinseco), sostituendola con la vostra (fatta di carta straccia!) che, peraltro, in base alle leggi monetarie piemontesi, non copriva interamente le riserve auree del Regno sardo (per ogni lira-oro, giacente nelle vostre casse pubbliche, facevate furbescamente circolare tre lire-carta); essa era inoltre soggetta a continue inflazioni. A quest’ultimo riguardo, vi rammento che la moneta del Regno delle Due Sicilie non si era mai svalutata nei 126 anni in cui regnò la dinastia borbonica; ergo, il fraudolento fenomeno dell’inflazione era a noi meridionali del tutto sconosciuto. Fraudolento perché si tratta di un furto bello e buono che, impotenti, tutti i cittadini continuativamente subiscono; per non parlare, poi, della vergognosa truffa del “signoraggio bancario” sulla carta-moneta: anche quest’ultimo è stato un vostro grazioso regalo!
Non avevate il diritto di azzerare la nostra economia, di ridurre alla fame e alla disperazione un intero popolo, costringendolo a lasciare la propria Terra, per dar luogo ad una delle più forti emigrazioni della storia, che, per essersi rivolta in ogni dove, fu una vera e propria “diaspora” (dall’epoca dell’invasione nordista ai giorni nostri, abbiamo avuto più di 20 milioni di emigranti). Sappiate che, prima del vostro arrivo, per un meridionale era assolutamente inconcepibile, se non assurdo, espatriare; di contro, numerosi erano i casi di emigranti, dall’Italia settentrionale e dal resto del mondo, che venivano a stabilirsi al Sud, tanto che nel Regno delle Due Sicilie fu emanata la prima normativa della storia in materia di immigrazione (legge promulgata il 17 dicembre 1817 dal re Ferdinando I di Borbone, cui seguì il decreto n. 10406 del 19 ottobre 1846 del re Ferdinando II), che regolamentava in maniera saggia ed organica la concessione della cittadinanza agli stranieri.
Cari fratelli d’Italia del Nord, oltre alle tante bugie risorgimentali propinateci per ben 150 anni, se lo volete, potete anche inventarvi ulteriori frottole e addurre tutti i pretesti di questo mondo, ma sappiate che, nel fare quello che ci avete fatto, ...voi non avevate alcun diritto!!!
Lo storico irlandese Patrick Keyes O’ Clery, a proposito del cosiddetto risorgimento, ebbe ad affermare: «...amanti della verità quali siamo, non abbiamo altro obiettivo che dissipare la nuvola di pregiudizio e di inganno che ha, fin qui, oscurato la narrazione di quegli eventi agli occhi di molti che ne condannerebbero come noi gli autori, se conoscessero il vero carattere della Rivoluzione che ha creato la cosiddetta unità d’Italia. Noi la giudicheremo non dalle invettive dei suoi nemici, ma dalle confessioni degli amici, molti di loro complici e alleati dell’arcicospiratore Cavour. Una cosa sola chiediamo ci sia riconosciuta: il principio da cui siamo partiti, e cioè che la falsità non diventa verità perché viene asserita da uno statista o da un re, e che il furto non cessa di essere disonesto e disonorevole quando il bottino è un intero regno».
Tanto premesso, mi permetto di rivolgervi un accorato invito.
Facciamo finalmente prevalere l’onestà intellettuale e chiamiamo le cose con i loro veri nomi: una strage è una strage, un assassino è un assassino, un ladro è un ladro. Perché, fino a quando non si riconoscerà ed ammetterà coram populo che, con il pretesto degli ideali del cosiddetto risorgimento, sono stati commessi dei veri e propri misfatti in danno del Sud, gli Italiani tutti non potranno essere veramente uniti da una storia condivisa. Un popolo non può prendersi in giro sulla propria storia e noi non possiamo continuare a prenderci in giro con una storia farcita di menzogne. Le bugie, non solo non portano da nessuna parte, ma inaspriscono anche l’animo di chi le subisce. Se vogliamo che l’Italia diventi finalmente un paese “normale”, dobbiamo partire proprio dalla nostra Storia, ma da quella “vera”, cioè quella basata su documenti inoppugnabili e non sulle solite favolette inventate di sana pianta e raccontateci fino alla noia, per ben 150 anni, da storiografi prezzolati e venduti al vincitore. Che si dica quindi la verità, anche se scomoda e dolorosa, perché, senza Verità non c’è Giustizia!
Infine, una domanda.
In relazione a tutto ciò che vi ho detto, non pensate sia giunto il momento di chiedere ufficialmente scusa (per i gravi torti materiali, fisici e morali che hanno subito) ai vostri fratelli dell’Italia del Sud, i quali, da ben 150 anni, aspettano pazientemente che venga resa loro Giustizia?

sabato 1 gennaio 2011

L'OPINIONE

L’irrinunciabilità e l’urgenza
di uno
Stato Meridionale indipendente

di Nicola Zitara


L’Italia è una società che sta andando in pezzi. Reagiscono soltanto gli stronzobossisti che, come i corvi de “La peste”, si lanciano a satollarsi sulla carogna in putrefazione. Lo stesso sindacato è un reale nemico del Sud perché si allea effettivamente con la parte egemone del territorio italiano, dove garantisce la Cassa Integrazione Guadagni, mentre malignamente dimentica la disoccupazione meridionale.
Il Mezzogiorno paga duramente la crisi per l’assenza di un suo stato indipendente. Ma cos’è lo stato? Qual è la funzione nella nazione di appartenenza (o eventualmente in un mondo con un solo stato)?
La funzione dello stato cambia al cambiamento dei rapporti giuridici di produzione. Stato è una parola astratta che si concretizza, secondo i dettami dei giuristi, in un territorio, in un popolo e nella sovranità su entrambi. I primi due elementi sono intuitivi, il terzo elemento è alquanto complesso e mutevole nel tempo. La sovranità non è infatti riducibile al potere militare né a quello di esercitare la giustizia penale e civile. Neanche possiamo restringere gli aspetti economici della sovranità al fatto fiscale e alla spesa pubblica. Lo stato, o meglio il potere umano che lo dirige, invade settori vastissimi della economia privata e familiare.
La Grecia antica e Roma fondavano colonie per offrire terreni coltivabili alla popolazione in soprannumero. Altri esempi: a Roma repubblicana e imperiale vigevano calmieri per ogni derrata alimentare. L’Annona distribuiva pane, olive e olio ai proletari. Nel Regno di Napoli, e credo dovunque, il prezzo del grano era fissato per decreto reale. Si tratta di esemplificazioni, relative al passato, ma basta avere un’idea del contenuto di un codice civile di qualunque nazione moderna per convincersi che lo stato disciplina ogni aspetto dei rapporti di produzione e di scambio. Per un diverso aspetto, attraverso la spesa pubblica interviene direttamente nella vita economica e nelle attività capitalistiche della nazione. E’ questo potere che sta alla base dello storico divario tra Nord e Sud dello stato italiano. Fu infatti il governo unitario ad evirare il Banco delle Due Sicilie e a permettere alla Banca Nazionale di Genova e di Torino di moltiplicare per cento la sua circolazione fiduciaria; furono i governi nazionali a stroncare la rivoluzione agraria in atto nel Meridione al tempo della guerra doganale con la Francia. Più vicino a noi è il caso della Ricostruzione postbellica a partire dal 1946-1947 allorché il Sud fu sacrificato sull’altare del rilancio del triangolo industriale Genova-Torino-Milano e delle cooperative emiliane. Del tutto attuale è la clamorosa beffa del dirottamento delle risorse comunitarie, destinate al Sud, a favore delle industrie centrosettentrionali in crisi.
Oggi in Italia più del 50% delle risorse prodotte nazionalmente sono incassate e ridistribuite dallo stato. La cifra può spaventare ma bisogna riflettere anche che i servizi pubblici e la spesa per investimenti migliorano l’esistenza attuale e quella futura. Diversamente che nelle società contadine i sistemi tributari moderni non affamano i produttori-consumatori ma si limitano ad incidere il surplus prodotto da ciascun membro della società.
Popolazione e territorio sottoposti ad una sovranità non sono uniformi. Esiste un cliché dell’italiano o del francese ma si tratta di cliché fasulli. Ci sono i ricchi, i poveri, i meridionali, e i settentrionali, i capitalisti e i proletari, le zone di alta occupazione e le zone di disoccupazione. Spesse volte queste ultime sono create deliberatamente da chi governa. Si sostiene che alla partenza una o più regioni di un Paese nel momento dell’avvio del suo decollo industriale esprimessero dei gruppi dirigenti più agguerriti; che disponessero di vantaggi geofisici, ad esempio: fiumi navigabili, miniere di ferro o di carbone. In Italia questo tipo di vantaggi fu legato alle cascate alpine al tempo della prima industrializzazione. Logicamente tali richiami servono a farci dimenticare la politica di emissioni cartacee bancarie fortemente favorevole alle regioni del triangolo Liguria-Lombardia-Piemonte.
Nella stessa Napoli borbonica l’interland napoletano, che era il più avanzato industrialmente a livello italiano, fu fortemente favorito dalle emissioni di carta bancaria da parte del Banco delle Due Sicilie. Fatta l’unità d’Italia, la Nazione Napoletana e la Nazione siciliana (Siculi e Jtalòi ) perdettero ogni difesa militare e quindi bancaria. La difesa militare si trasferì ai confini della Padana col risultato di mettere il Sud nelle mani di un esercito nemico. La secolare attrazione centripeta di Milano su tutta l’area padana e sulle sue città ex capitali partorì una capitale d’Italia diversa da Roma nella pratica, anche se non nella forma. Roma divenne un emissario politico degli interessi specifici delle classi capitalistiche emergenti in Padana. Questa è storia nota più o meno a tutti.
Il problema che qui si vuole evidenziare è che la degradazione di Napoli da capitale di uno stato a capoluogo di provincia coinvolse i settori capitalistici emergenti al tempo di Ferdinando II. Questi non ebbero la forza politica, sebbene disponessero di risorse sufficienti, di mettersi alla pari con la classe dirigente padana e di pretendere, ed imporre, che l’intero Mezzogiorno sostenesse se stesso e non lo sviluppo padano.
Il ritorno all’indipendenza è necessario e urgente per sopperire allo squilibrio che dura da 150 anni. Oggi il Sud gravita economicamente sulla sua efficienza coloniale, la quale ha due aspetti fondamentali. Il primo è la distribuzione dei prodotti industriali, agricoli e del terziario padano, dalla quale ottiene il cosiddetto ricarico commerciale, il valore aggiunto che va al terziario locale. L’altra fonte di sussistenza è la corruzione clientelare. La Regione Lombardia ha 4000 addetti, la Regione Sicilia, un po’ meno popolosa, ne ha 23000. Ovviamente si tratta di assistenza carpita all’intera nazione, ma ad essere corrotti non sono solo i politici siciliani. La politica nazionale, non volendo affrontare i problemi siciliani ha creato una classe “cuscinetto” a favore dell’unità politica. Discorso consimile si può fare per tutte le mafie meridionali, le quali si adoperano a calmierare le possibili ripercussioni sociali e politiche della disoccupazione con un drenaggio di profitti realizzati nelle altre parti del Paese e, pare, in tutto il mondo.
Il punto nevralgico del discorso è proprio l’inoccupazione meridionale.
Statisticamente nel Nord italiano sono attive 67 persone (su 100 in età di lavoro), mentre il Sud ne ha meno del 50 %. La differenza di 17 punti percentuali suggerisce che l’inoccupazione colpisce 3.500.000 lavoratori su un totale di 20.000.000 di abitanti. Uscire da questa trappola non è, a rigor di logica, impossibile, basterebbe produrre le sedie su cui ci sediamo, i chiodi, i profilati ferro, le lampadine, i libri scolastici e non scolastici, i computer, i televisori, le biciclette, i palloni di cuoio e le palle di gomma, e molte altre cose ancora tutt’altro che appartenenti all’empireo della modernità. Ma dove troveremo le risorse per fare tutto questo? Faremo come fece Ferdinando IV restaurato e come fece l’Italia unita: fonderemo lo sviluppo sulla moneta creditizia e sulla accumulazione primitiva bancaria.