venerdì 26 dicembre 2014

Francesco II - Santa Messa in suffragio




SABATO 27 DICEMBRE ORE 18.30, NAPOLI, Chiesa di S. Ferdinando di Palazzo, Santa Messa in Rito Romano Antico per Francesco II di Borbone, ultimo Re delle Due Sicilie, a cura della Fondazione Il Giglio con la partecipazione dei delegati del Movimento Neoborbonico, dei delegati del Sacro Militare Ordine Costantiniano di San Giorgio e delle Reali Guardie d'Onore Borboniche. 
Nel giorno esatto del 120° anniversario della morte di Francesco II, Santo e Re (27 dicembre 1894), si rinnova l'appuntamento con la tradizionale Messa napoletana organizzata annualmente dagli amici della Fondazione. 
Nello stesso importante giorno, il 27 dicembre alle ore 17.30, Santa Messa per Francesco II anche a Caserta presso la Chiesa del Buon Pastore a cura dei Comitati delle Due Sicilie: le due città così care alla dinastia borbonica unite nel ricordo del loro ultimo Re.



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lunedì 15 dicembre 2014

Pino Aprile - Terroni 'Ndernescional






Pino Aprile è indiscutibilmente lo scrittore di Sud più seguito a Sud, in Italia e all'estero. Qualcuno lo vorrebbe ministro per il Mezzogiorno nel prossimo governo italiano, qualche altro premier delle Due Sicilie, qualche altro ancora (pochi e sempre gli stessi) gli vorrebbe impedire di scrivere libri e/o articoli. In realtà Pino Aprile, come dimostra l'aperta ma inutile ostilità della terza fascia appena citata, è anche più importante di un eventuale premier o di un ministro: Pino Aprile è uno dei motori fondamentali (forse “il” motore) di una svolta che per il Sud è davvero epocale. Con i libri di Pino Aprile, da “Terroni” ai successivi testi dedicati ai temi del meridionalismo fino al nuovo “Terroni 'ndernescional. E fecero terra bruciata”, è dilagante ormai una diffusione di consapevolezza, di rabbia e di orgoglio forse mai riscontrata prima tra i meridionali. E si tratta di un fenomeno davvero nuovo e con sviluppi che nessuno può prevedere e ben più importanti magari di un successo elettorale o di un incarico politico. In “Terroni 'ndernescional” Aprile ritorna sui temi di “Terrroni” e sullo schema della colonizzazione del Nord dell'Italia ai danni del Sud in maniera davvero inoppugnabile e con un sorprendente confronto tra quello che avvenne (o avviene) tra il Piemonte e la Sardegna, tra la Germania Ovest e la Germania Est e tra i paesi del Nord dell'Europa e quelli mediterranei... “Così la Sardegna stava al resto del Regno Sardo come tutto il Sud al resto d'Italia” e così i meccanismi di “minorità” risultano applicati in maniera sconcertante anche nel resto dell'Europa e del mondo. E così la questione meridionale era già una “questione sarda” e la colonizzazione ad opera dei sabaudi fu prima sarda e poi meridionale. Così assistiamo da un secolo e mezzo al “gioco delle tre carte” delle statistiche nazionali con la Sardegna misteriosamente accorpata al Sud per non rovinare le medie sabaude: una verità chiarissima ma sistematicamente ignorata dalla storiografia ufficiale. Il tutto, però, raccontato con il consueto stile carico di ironia e, a tratti, di poesia, e con un rigore che renderà quanto mai difficoltoso il lavoro dei soliti noti di cui sopra e che spiega in maniera quanto mai efficace i meccanismi che regolano la subalternità del Sud di oggi. “Da un secolo e mezzo, con la scusa dell'Unità, una parte del Paese è tenuta in condizione subalterna, prima con il potere delle armi, poi con quello dell'economia e della politica al servizio di quella economia”. E come sarebbe possibile contraddire una tesi di questo tipo? Del resto sappiamo come lavorano i soliti noti, e i soliti opinionisti e/o accademici di turno più o meno famosi con le loro reazioni spesso rabbiose ma che potremmo definire quasi infantili: si attacca Pino Aprile o magari si attaccano i neoborbonici per le tesi esposte in questo e in altri libri senza mai badare al fatto  che dovrebbero attaccare gli autori delle tesi esposte e che in molti casi, e sempre più frequentemente, si tratta ormai di loro autorevoli colleghi accademici. Altrettanto chiara e netta l’analisi delle colpe delle classi dirigenti meridionali complici di questo sistema, delle debolezze delle posizioni di una cultura “ufficiale” sempre più in crisi, della necessità di una identità culturale, dell'importanza di certe “nostalgie”, delle manie “etichettatorie” degli opinionisti di turno (“neoborbonici”, “sudisti”, “terronisti” le loro etichette più gettonate... per manifesta incapacità di affrontare i temi nel merito). In sintesi il nuovo “Terroni” è un nuovo manuale di sopravvivenza per meridionali veri con la soddisfazione oggettiva di trovare tra le 250 pagine del libro quello che pensiamo anche noi tutti i giorni magari di fronte ai soliti danni e alle solite beffe antimeridionali. In sintesi un “traduttore” per decifrare certi comportamenti e certe scelte dei politici anche di oggi. In sintesi uno “stradario” per capire quali percorsi affrontare e superare per salvare il Sud. Lo avevamo già scritto che con dieci Pino Aprile il Sud si sarebbe già salvato da tempo? E anche se fosse una ripetizione, lo confermiamo dopo aver letto “Terroni 'ndernescional” condividendo in pieno la certezza di Pino: “I miracoli, a volte, non hanno l'aspetto dei miracoli”...

Gennaro De Crescenzo

martedì 2 dicembre 2014

Sacrario Borbonico a Gaeta



Sabato 29 novembre 2014, alle ore 16.30, si è tenuta in Gaeta l’annunciata ed attesa apertura del primo Sacrario Borbonico. Il Duomo della città, magnificamente restaurato e riportato al suo antico splendore, ha accolto persone provenienti da varie parti d’Italia che, affiancando i numerosi Cavalieri del Sacro Militare Ordine Costantiniano di San Giorgio, hanno affollato un momento di eccezionale rilevanza storica. Era, infatti, da tempo che si sperava di raccogliere in un unico luogo i resti mortali di chi perse la vita nell’ultima strenua difesa dell’antico e glorioso Regno delle Due Sicilie. Un luogo che già da domenica scorsa è diventato la meta di chi conosce quella triste storia e si riconosce nei valori di fede e di identità che quei prodi difesero fino all'estremo sacrificio della vita.
Ora resta un altro ambizioso obiettivo: rendere fruibile e dignitosi i luoghi dove sono sepolti i soldati caduti durante i bombardamenti dell’assedio. Alcune sono fosse comuni non segnalate che vanno assolutamente rilevate ed elevate al rango che più gli si addice. Una pietà cristiana integrata dalla necessità di squarciare un insostenibile oblio della storia che ha fatto di quegli Eroi degli sconosciuti, se non dei “malfattori”.
Certamente il Sacrario borbonico entrerà, come merita, in tutti gli eventi storici che periodicamente si tengono a Gaeta ed, inoltre, sarà la spinta per altri simili recuperi di beni architettonici di inestimabile valore di cui, nonostante i bombardamenti dell’Assedio piemontese e della Seconda Guerra Mondiale, la città del Golfo ne è ancora ricca.



giovedì 27 novembre 2014

Sacrario Borbonico a Gaeta

È stato sempre il desiderio di quanti si sono avvicinati alla verità storica ed alla tragedia che travolse l’antico Regno delle Due Sicilie, avere un sacrario con i resti mortali degli Eroi che diedero la vita nei fatti di guerra che interessarono Gaeta ed il suo circondario tra il 1860 ed il 1861. Un luogo dove portare un fiore, fare una preghiera, un luogo dove ricordare.
E finalmente il miracolo è avvenuto. Infatti una combinazione di eventi che non si possono definire fortuiti, ha fatto si che si realizzasse il sogno di quanti da decenni hanno sperato che avvenisse. Le persone giuste al posto giusto e nel momento giusto hanno fatto il resto. Il principale merito va al nostro Lino Sorabella, appassionato cultore della storia, dell’arte e delle tradizioni di Gaeta che ha fatto da cinghia di trasmissione nel complesso ingranaggio di tutta l’operazione. E quindi foto, progetto, autorizzazioni, contatti ecc., ma la realizzazione di tutta l’operazione, compreso il recupero dei resti dei soldati disseminati tra chiese e cimiteri, avrebbe avuto un costo non indifferente che le Istituzioni, sia religiose che civili, non avrebbero potuto sostenere. A questo punto, un’altra persona giusta al posto giusto. L’Avv. Franco Ciufo, Vice Delegato per il Lazio dell’Ordine Costantiniano di San Giorgio e nostro indiscusso Compatriota, prende in mano la situazione ed attiva una delle sue consuete cordate di solidarietà che tanto bene hanno fatto alla gente bisognosa, ma questa volta per realizzare un’opera in ritardo di oltre 150 anni.
Naturalmente è apparsa fondamentale l’opera di S.E. l'Arcivescovo di Gaeta, mons. Fabio Bernardo D'Onorio che ha sapientemente e pazientemente guidato ogni intervento nell’ambito delle sue importanti competenze.
Ed è grazie a questi artefici che con profonda commozione annunciamo l’apertura del Sacrario Borbonico di Gaeta che avverrà sabato 29 novembre 2014, alle ore 16.00, presso la Cattedrale di S. Erasmo. 
Saranno presenti autorità civili, militari e religiose nonché i vertici dell’Ordine Costantiniano e la Principessa Beatrice di Borbone.
Sarà presente la Real Bandiera di Stato scortata dal Picchetto d’onore dei Tiragliatori del Re.
Compatrioti, confratelli ed amici sono invitati.




giovedì 13 novembre 2014

Gaeta Assediata

Il 12 novembre del 1860

Gaeta viene colpita per la prima volta dall’esercito invasore.
I piemontesi, con una manovra accerchiante operata con ingenti forze, respingono dentro le mura di Gaeta le truppe Borboniche che difendevano le colline circostanti. Per la prima volta le batterie della Piazzaforte di Gaeta aprono il fuoco contro i nuovi assedianti che, senza dichiarazione di guerra, avevano violato i sacri confini della Patria Napolitana per muovere guerra al pacifico popolo del Sud.
Descrivono i due Ufficiali Borbonici Nagle e Anfora nel loro diario di guerra:
"A quest'epoca la guarnigione di Gaeta, aumentata dalle truppe respinte dal nemico, divenne troppo numerosa, l'artiglieria era poverissima di materiali, di macchine e di strumenti; scarsi erano i mezzi di cui poteva disporre il genio per l'esecuzione dei lavori richiesti da una buona difesa; mancavano del tutto le fascine, i salciccioni ed i gabbioni, né si aveva modo di costruirli nella Piazza; v'era inoltre scarsezza di legname e poca quantità d'istrumenti; sufficiente l'approvvigionamento della polvere da sparo, scarsissimo quello dei viveri".   

Quello Stato antico che aveva puntato tutto sulle infrastrutture, sui bisogni della gente, sui beni sociali e di assistenza, trascurando gli armamenti, adesso appariva non adeguatamente preparato dal punto di vista militare di fronte alla prepotenza di uno Stato guerrafondaio ed armato fino ai denti, tra l’altro dichiaratosi sempre amico e governato da un sovrano cugino dei Borbone.   
In allegato le pagine tratte dal Giornale di Guerra della difesa di Gaeta, che riportano schematicamente le forze e le armi a disposizione degli assediati nel primo scontro.










martedì 11 novembre 2014

Gigi Di Fiore


CHINCHINO COMPAGNA, LA RAI E ALIANELLO
QUANDO NON C'ERANO I NEOBORBONICI


Non fu agevole la trasmissione in Rai dello sceneggiato "L'eredità della priora". Sette puntate, addirittura sul primo canale, di un lavoro con la regia del noto Anton Giulio Majano. Un'autorità televisiva di allora. Musiche, diventate di cult, di Eugenio Bennato e Carlo D'Angiò, ispirazione al romanzo scritto da Carlo Alianello in prima edizione nel 1963.
Il tema, certo, non era di facile digestione nell'Italia di allora: il brigantaggio, una vicenda familiare inserita nei giorni della marcia di Carmine Crocco verso Potenza. Alianello, padre militare italiano e nonno militare borbonico, aveva iniziato 40 anni prima una rilettura senza pregiudizi sulla caduta del regno delle Due Sicilie. Lo avevano ispirato i racconti di famiglia ed era poi andato avanti con ricerche e documenti.
Alianello, scrittore lucano di Tito, cattolico, autore di decine di libri e consulente storico persino di Luchino Visconti, emarginato dal mondo letterario per tante sue idee. Il suo romanzo "L'Alfiere", pubblicato nel 1942, fu messo al bando dal fascismo, che lo ritenne troppo disfattista in mesi di guerra: raccontava le vicende di vinti, i militari borbonici che non avevano voluto arrendersi o passare con Garibaldi. Discorsi non facili da far passare, anche 34 anni fa.
I neoborbonici non erano ancora nati, Riccardo Pazzaglia pensò a quella provocazione tredici anni dopo. Ma lo sceneggiato di Rai uno suscitò subito reazioni indignate. Fu la cultura liberale, di ispirazione crociana, a infastidirsi di più. E ne fu espressione Francesco (Chinchino) Compagna, allievo di Croce, già giornalista di Nord e Sud e del Mondo di Pannunzio, repubblicano e ministro della Repubblica.
L'11 marzo 1980 Compagna, che qualche mese dopo avrebbe analizzato in maniera critica la ricostruzione del terremoto irpino, pubblicò un articolo sul Giorno di Milano. Titolo indicativo: "Ma i Borboni (sic!) no, non li rimpiango". L'occhiello già anticipava polemiche lette negli ultimi mesi: "Segni di una rinnovata e ambigua nostalgia".
Il ragionamento metteva insieme due eventi: la mostra sul '700 napoletano, in quei giorni inaugurata al museo di Capodimonte da Raffaello Causa, con lo sceneggiato televisivo. Compagna si diceva preoccupato che "i borbonici si approprino politicamente della mostra".
L'analisi successiva sembra anticipare, almeno di 30 anni, le tante diatribe scatenate dalle celebrazioni sui 150 anni di unità d'Italia. Scriveva Compagna: "C'è una serpeggiante nostalgia dei Borbone che si alimenta dalla dolorosa condizione della città e che si inserisce nel vuoto lasciato a Napoli, come anche altrove, dalle dissacrazioni sociali del Risorgimento, dalla schizzinosa rinuncia al Risorgimento come minimo comun denominatore della educazione nazionale".
Una presa di posizione decisa, che proseguiva con argomenti che riecheggiavano e riecheggiano ancora oggi contro chi cerca di capire a tutto tondo cosa accadde negli anni in cui l'Italia fu unita. Il raffronto dell'intellettuale e giornalista crociano fu tra l'oggi di allora e lo ieri borbonico: la Napoli di quel 1980 nascondeva "meno miserie di quante ne nascondesse la capitale borbonica".
Sarebbe stato tragico se non fosse stato così, 119 anni dopo. Il progresso e i tempi in evoluzione devono pur significare qualcosa. Ma Compagna era più indignato per lo sceneggiato ispirato ad Alianello, trasmesso alla Rai: come mai nessun giornale del nord ha reagito contro l'offeso sentimento risorgimentale? Come mai, invece, in quelli napoletani, tanta nostalgia borbonica? Quesiti giornalistici retorici, con risposta pronta.
Rileggere i punti, con cui Compagna spiegava la sua indignazione è illuminante: sono gli stessi delle indignazioni di oggi. E allora: Compagna si dissociava dai "chiari intendimenti dissacratori, estranei al pur partigiano Alianello, accompagnati da interpretazioni che offendono i miei sentimenti".
Un crociano, laico, con la verità certa in tasca.
E ancora, in polemica con la sinistra che allora governava Napoli, con l'illuminato sindaco Maurizio Valenzi: "C'è una responsabilità della cultura di sinistra nel revival borbonico di cui dicevo. Il processo al Risorgimento come fallita rivoluzione sociale produce la dissacrazione di Nino Bixio". La conseguenza è logica: editori di sinistra (Feltrinelli) a pubblicare Alianello e Molfese; intellettuali organici alla Rai; malumore classista dalla parte di Crocco e Ninco Nanco invece che di Bixio.
Compagna lettore di Croce,  un po' meno di Gramsci e Molfese, sarebbe morto due anni dopo quell'articolo. Chissà che polemiche avrebbe fatto con i neoborbonici, lui che sui garibaldini e piemontesi, scriveva: "noi che rileggiamo Croce non rifiutiamo il titolo di liberatori". Almeno polemiche coerenti: insieme con Bettino Craxi, Giovanni Spadolini (segretario nazionale del partito di Compagna) era il maggiore collezionista di cimeli e documenti garibaldini nell'Italia di quegli anni.

Pubblicato da IL MATTINO l’8 novembre 2014



lunedì 10 novembre 2014

Prossimi Appuntamenti



"FRANCISCHIELLO”
UN AMLETO RE DI NAPOLI



Studio shakespeariano di e con Carmine Borrino con musiche di Lino Cannavacciuolo prodotto da CRASC teatrodiricerca & ArtgarageTeatro da giovedì 13 a domenica 16 novembre a Napoli, TEATRO SANCARLUCCIO. 
Un monologo da vedere con un Francesco II di Borbone che diventa un eroe drammatico della (vera) storia delle Due Sicilie...
Per info, prenotazioni e mattinate scolastiche: tel. 081 5448891 - 3383212547.  

Gli spettacoli dal giovedì al sabato sono serali (ore 21.00) la domenica pomeridiano (ore 18.00). Per lo spettacolo del giovedì è previsto un aperitivo, prima dell'inizio dello spettacolo (ore 20.30) compreso nel prezzo del biglietto che, per i gruppi di minimo 10 persone è di € 14,00 invece di € 20,00, per gli spettacoli del venerdì, sabato e domenica il costo del biglietto, sempre per i gruppi ,è di € 16,00 invece di € 20,00.



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“DELLE PRESENTI CONDIZIONI” 
“DEL REAME DI NAPOLI”



GIOVEDI' 20 NOVEMBRE ore 18.00, Sede della Fondazione Il Giglio, in Napoli, via Crispi 36/A, presentazione del libro edito da Thesaurus “Delle presenti condizioni del Reame di Napoli” di Pietro Calà Ulloa, una importante testimonianza degli ultimi giorni del Regno e dei mesi successivi all’unificazione con un significativo confronto tra il passato e il presente… Saranno presenti il curatore avv. Antonio Boccia, l’editore Lorenzo Terzi, Gennaro De Crescenzo e Marina Carrese.

SCHEDA DEL LIBRO. “Scorso è ormai un anno, che, caduta Gaeta, ultimo
e glorioso baluardo dell’indipendenza napolitana, l’Europa ha potuto credere che una monarchia di nove secoli, la prima che fosse sorta in Italia, la prima che sin dalla sua origine conseguisse ordini e leggi umanissime, avesse per sempre ad essere sparita”. Questo l’incipit dell’opuscolo Delle presenti condizioni del Reame delle Due Sicilie di Pietro Calà Ulloa, duca di Lauria e ultimo premier di Francesco II di Borbone, pubblicato nel 1862. Thesaurus, società attiva nel campo della valorizzazione dei beni, delle attività culturali e della ricerca, propone la ristampa anastatica del saggio di Calà Ulloa. Il testo esamina e denuncia con sofferta lucidità le dolorose conseguenze dell’annessione forzata del Regno delle Due Sicilie al Piemonte. Si tratta di un’eccezionale testimonianza di prima mano, che certamente arricchirà il dibattito storiografico su quelle controverse vicende. I lettori potranno, infatti, paragonare le condizioni dell’ex Regno borbonico all’indomani della violenta conquista sabauda con quelle, attuali, del Mezzogiorno, ravvisando nel duca di Lauria una capacità profetica non comune. Il volume è curato dall’avvocato, saggista, docente universitario, ispettore per i beni archivistici (e vicepresidente del Movimento Neoborbonico),  Antonio Boccia, e si avvale di una presentazione del prof. Gennaro De Crescenzo ("Sulle presenti condizioni del Sud"). Scheda: Pietro Calà Ulloa, Delle presenti condizioni del Reame delle Due Sicilie, a cura di Antonio Boccia, presentazione di Gennaro De Crescenzo, illustrazioni di copertina di Emilio De Rosa, Napoli, Thesaurus Edizioni, 2014 (ristampa anastatica dell’edizione del 1862), pp. XXXII-72. Collana “Le anastatiche”, n. 1, a cura di Lorenzo Terzi. ISBN 978-88-90-98920-9 Dimensioni: 22 x 16 cm Prezzo: € 20,00. Ordini: Per ordinare una o più copie del libro è possibile scrivere a thesaurusneapolis@libero.it comunicando i propri dati anagrafici completi per la fatturazione (nome, cognome, indirizzo, Codice fiscale) e la quantità di copie desiderate; oppure è possibile acquistare il volume presso: Libreria Neapolis di Cirillo Annamaria, Via San Gregorio Armeno 4, tel. 0815514337, email info@librerianeapolis.it , sito www.librerianeapolis.it.

sabato 8 novembre 2014

Per i 120 anni dalla morte di Francesco II di Borbone



INIZIANO A NAPOLI LE CELEBRAZIONI DEL MOVIMENTO NEOBORBONICO  ALLA PRESENZA DEL PRINCIPE CARLO DI BORBONE, 
VENERDÌ 21 E SABATO 22 NOVEMBRE. 

I Delegati, gli iscritti nonché gli amici 
sono vivamente pregati di partecipare alle iniziative. 



Santo e Re”, l’ultimo Re delle Due Sicilie, Francesco II che fino alla fine difese con onore e dignità i suoi Popoli ed il suo Regno, sarà ricordato con una serie di eventi che inizieranno il 20 novembre e termineranno il 27 dicembre, data del 120° anniversario della sua morte ad Arco di Trento come primo emigrante meridionale. 
In un momento di crisi più che mai grave per il Sud, una crisi economica e anche morale e culturale, la figura di Francesco II è una figura importante e significativa per i suoi valori cristiani, le sue scelte, il suo orgoglio e il suo grande senso di appartenenza. Elementi più che mai necessari per il futuro del Sud e sintetizzati dalla dinastia che seppe fare grandi Napoli e il Sud e di cui avremo (il 21 e il 22) la possibilità di salutare con affetto il simbolo del presente, il Principe Carlo di Borbone, Capo della Real Casa. 


PROGRAMMA COMPLETO. 


GIOVEDÌ 20 NOVEMBRE, ore 18.00, Sede della Fondazione Il Giglio, in Napoli, via Crispi 36/A, presentazione del libro edito da Thesaurus “Delle presenti condizioni del Reame di Napoli” di Pietro Calà Ulloa, una importante testimonianza degli ultimi giorni del Regno e dei mesi successivi all’unificazione con un significativo confronto tra il passato e il presente. Saranno presenti il curatore avv. Antonio Boccia, l’editore Lorenzo Terzi, Gennaro De Crescenzo e Marina Carrese. 


VENERDÌ 21 NOVEMBRE, ore 17.30, piazza del Gesù a Napoli, incontro con il Principe Carlo di Borbone e deposizione di fiori sulla tomba di Francesco II nella Basilica Santa Chiara.  

A seguire passeggiata presso il centro antico e via San Gregorio Armeno, la via dei pastori natalizi.



SABATO 22 NOVEMBRE, ore 10.45, Santa Messa presso la chiesa di San Ferdinando di Palazzo (piazza Trieste e Trento) con Sua Altezza Reale il Principe Carlo e la Reale Arciconfraternita di San Ferdinando con Marco Crisconio, esecuzione dell’inno nazionale delle Due Sicilie a cura della Fanfara dei Civici Pompieri delle Due Sicilie, commemorazione di Francesco II di Borbone. 

Ore 13.00 Visita Privata del Principe Carlo di Borbone ad una struttura assistenziale presso il borgo di Santa Lucia in Napoli a cura della Delegazione Napoletana del Sacro Militare Ordine Costantiniano di San Giorgio guidata dal Marchese Pierluigi Sanfelice di Bagnoli. 


INFO SU ALBERGHI, TRASPORTI ECC. 

info@neoborbonici.it oppure 347 8492762.








lunedì 3 novembre 2014

Memoria del futuro, le strade dell'arte presepiale


Nel Centro Antico di Napoli, l’evento “natalizio” del Forum Universale delle Culture giovedì 6 novembre, alle ore 16.30, presso la Sala del Lazzaretto del Complesso rinascimentale di Santa Maria della Pace, in Via dei Tribunali n. 227, si terrà la conferenza stampa di presentazione della manifestazione curata dall’ Associazione Corpo di Napoli – Onlus, insieme all’ Associazione Trasform-Azione Civica ed alla Cooperativa Sociale Rione Sanità, in collaborazione con la IV Municipalità del Comune di Napoli:  “Memoria del Futuro, le strade dell’Arte Presepiale, strade di Fratellanza e di Multiculturalità” .

Nel corso della conferenza stampa che vedrà la partecipazione di Gabriele Casillo, Presidente dell’Associazione Corpo di Napoli; di Assunta Polcaro, Presidente dell’Associazione Trasform-Azione Civica; di Luca Rizzelli, Presidente della Cooperativa Sociale Rione Sanità, nonché di Armando Coppola, Presidente della IV Municipalità, sarà illustrato il nutrito programma di iniziative che faranno perno intorno alle produzioni artistiche delle antiche botteghe artigiane presepiali di Via San Gregorio Armeno e del Centro Antico di Napoli, vere eccellenze napoletane famose in tutto il Mondo.

L’aspetto che si è voluto evidenziare, anticipa Casillo, è quello dello spirito dell’accoglienza del “diverso” che Napoli e, più in generale, il Meridione, ha sempre detenuto e valorizzato, e della ricchezza culturale acquisita nel corso di due millenni grazie agli scambi anche commerciali con tante e varie culture anche fuori dal Mediterraneo, come dimostra “plasticamente” il Presepio napoletano settecentesco, soprattutto nel “quadro” del Corteo dei Re Magi.

La simbologia, le allegorie e le metafore, intorno al tema della Multiculturalità che sono racchiuse nel Presepio napoletano saranno “svelate” al pubblico, in una conferenza che si terrà sabato 8 novembre alle ore 9.30 nella stessa sala del Lazzaretto e che costituirà l’inaugurazione di una particolare Mostra di Arte Presepiale che si concluderà il 29 novembre, con l’esposizione di pregiati pastori in stile settecentesco, realizzati dalle storiche botteghe: Buonincontro; D’Auria; Sciuscià; Originalità di Pulcinella; Di Virgilio; Cantone & Costabile, alla quale farà subito seguito una performance per i più piccini, sul modello delle botteghe-scuola a cura del maestro Antonio Cantone, noto per aver, tra l’altro, realizzato il grande Presepio di Papa Francesco e che è stato esposto a Roma in Piazza San Pietro nel dicembre del 2013. Una particolare attenzione, anticipano Rizzelli e Polcaro, sarà prestata ai diversamente abili, per i quali abbiamo organizzato una serie di visite guidate non solo ai più belli ed importanti monumenti sia civili che di culto che caratterizzano il Centro Antico di Napoli, ma anche ad alcune botteghe di arte presepiale, tutti luoghi resi accessibili per l’occasione grazie a facilitatori appositamente realizzati. Le prenotazione per le visite potranno avvenire tramite mail all'indirizzo memoriadelfuturo2014@gmail.com  indicando data, orario di partenza (previste da calendario) numero persone, eventuale richiesta di lingua straniera (inglese, spagnolo). Verrà dato riscontro via mail per conferma. Per informazioni su percorsi, date orari e qualsiasi altra informazione si potrà contattare il numero 388.3266299 tutti i giorni dal lunedì al Sabato dalle 9.30 alle 12.30 fino al 30 novembre. Si fa presente che per le 10 giornate di calendario, la partenza delle 11.30 vedrà anche la presenza di una guida LIS, per consentire la partecipazione di utenti con disabilità uditiva. Tutte le iniziative sono a completo titolo gratuito.

Per ulteriori informazioni sull’intero programma: +39 347 83 98 061

INFO: www.forumculture.org - tel. 3245949643 dal lunedì al venerdì dalle 10 alle 12 e dalle 14 alle 18.

info@corpodinapoli.it 

www.corpodinapoli.it  

www.sangregorioarmeno.org  


venerdì 31 ottobre 2014

Nicola Zitara



ABBIAMO TRADITO I NOSTRI FIGLI


Non c’è famiglia che  non lavori per assicurare un avvenire ai figli.  Bisogna però chiarire  che, nella millenaria storia dell’uomo e dei popoli, la qualità del lavoro cambia. In una società molto primitiva, allorché l’uomo non conosce né  l’agricoltura né l’allevamento, gli adulti si muovono sulla superficie terrestre in cerca di un luogo in cui i frutti spontanei e i piccoli animali da cacciare siano abbondanti, o meno scarsi. Solo così possono assicurare il cibo ai loro figli. In una fase parecchio successiva, quando gli uomini hanno scoperto l’agricoltura e l’allevamento, e gli esseri umani non sono più  nomadi che viaggiano verso luoghi ignoti, la terra disponibile, che prima appariva illimitata, diviene limitata.

Il passaggio dalla disponibilità illimitata di terra alla indisponibilità delle terre si può vedere nei film western. Quando si forma la proprietà privata, i padri e le madri più fortunati lasciano al figlio un fondo in cui questi lavorerà duramente, e tuttavia conserverà la sua libertà. Infatti, al tempo di Omero, chi non ha un suo pezzo di terra vive da servo o fa il mendicante. Nei secoli successivi, le classi sociali si fanno più articolate. Oltre ai proprietari di terra o di animali, ci sono gli artigiani indipendenti e i lavoratori dipendenti, i cosiddetti proletari, coloro che non hanno niente, tranne la capacità di lavorare per gli altri e che, per questo, ricevono un salario.

Trascorrono ancora parecchi secoli e accanto ai salariati, in Grecia e a Roma, si forma la classe degli impiegati. Dopo averli vinti e ridotti in schiavitù, i romani usano molto spesso e con gran profitto i magnogreci più istruiti come impiegati: contabili, amministratori, medici, giuristi, insegnanti dei figli. Sotto l’Impero romano nasce anche la più vasta forma di impiego pubblico dei tempi passati, quella del soldato. La classe degli impiegati statali di tipo fiscale e amministrativo cresce incredibilmente con la nascita e lo sviluppo dello Stato moderno.       

La premessa serve a chiarire che l’analisi delle prospettive di lavoro dei giovani del Sud è un fatto della storia ed è connessa con l’involuzione dell’assetto produttivo meridionale a partire dal 1860, il disastroso anno in cui il Paese meridionale fu conquistato dai Padani, più che con le armi, con la truffa della fondazione di una libera nazione italiana e di un’Italia una e indivisibile. A quel tempo la percentuale maggiore della popolazione era fatta di contadini; venivano subito dopo gli artigiani, gli operai, i marinai, gli scaricatori, i facchini, i soldati. Nell’insieme, poco meno del 90 per cento della popolazione. Nel rimanente 10 per cento c’erano i padroni di terre, di fabbriche, di vascelli, di case commerciali e bancarie, i professionisti, i giudici, gli impiegati, compresi gli ufficiali, i preti, i monaci e le monache.         

Oggi questo quadro è fortemente cambiato. La classe dei contadini è praticamente  scomparsa. La classe dei padroni di terre si è enormemente dilatata, ma le attività agricole non sono più remunerative. Chi possiede un podere, persino un grosso podere, cerca sul mercato un’altra attività produttiva di reddito, di regola un impiego pubblico o una professione, assegnando alla terra la funzione d’integrare il reddito principale. 

Sono scomparse quasi tutte le altre figure padronali, tranne i padroni di case. Anche la classe dei commercianti, che sembra sopravvivere come classe per sé,  opera in condizione di libertà limitata, nell’ambito della distribuzione padana. Molto simile l’evoluzione dei professionisti. Come gli insegnanti, un tempo collegati essenzialmente  con le parrocchie e i vescovadi, in appresso inquadrati dallo Stato, anche medici rappresentano, oggi, una figura di lavoro dipendente e impiegatizio. Apparentemente liberi come professionisti, ma in realtà dipendenti o collegati alla spesa pubblica o agli investimenti del grande capitale, sono gli ingegneri, i geometri e gli architetti. Sono  dipendenti dalla spesa pubblica anche i farmacisti. 

Si è invece consolidata la classe degli artigiani indipendenti, con la funzione di base logistica di servizio, di castrum, rispetto alla produzione industriale padana.        

Le famiglie benestanti cercano di ancorare il guadagno di oggi in qualcosa che è idonea a riprodurre un reddito nel tempo, come un appartamento da affittare, investimenti  in titoli o in assicurazioni, e cose simili. Tuttavia l’investimento, oggi, più diffuso e comune è la formazione professionale dei figli. Tramontata (o resa sterile dalla politica comunitaria) l’attitudine della nostra agricoltura a riprodurre il reddito, la grandissima maggioranza dei genitori meridionali  ha adottato, per i figli, un’ottica tipicamente proletaria: quella di chi ha in sé stesso, nel suo corpo, nelle sue braccia e nel suo cervello l’unica merce da vendere. Al Sud, sempre più raramente si tratta di un lavoro indipendente. La maggior parte dei giovani va a scuola per diventare un laureato. E da laureato, un impiegato dello Stato. I più non ce la fanno a laurearsi. Rimasti a mezza strada, ridimensionano la loro attesa, ma sempre come impiegati dello Stato. Infatti, la delusione della famiglia, sicuramente cocente sul lato del prestigio, e quella non minore del giovane, a proposito del giudizio di sé stesso e sulle proprie capacità, fino a qualche tempo fa, era ammorbidita dal fatto che l’impiego pubblico assicurava al giovane non laureato un trattamento economico  non molto diverso da quello di un laureato.  Chi  entrava nei ranghi del pubblico impiego era sicuramente un lavoratore dipendente, ma  socialmente, giuridicamente ed economicamente garantito. I genitori organizzavano le risorse economiche familiari in vista di tale approdo e guidavano il figlio ad attrezzarsi culturalmente nel modo richiesto. 

Un qualunque corso di studi, ma in particolar modo un corso di studi universitari – indipendentemente dal risultato  positivo o negativo -  ieri era costoso e oggi lo è di più. Le risorse familiari sono distratte da un diverso investimento e consumate a favore di quel progetto. Spesso sull’altare di una laurea è necessario sacrificare un bene ereditato, sterizzando una risorsa formatasi nel corso di parecchie generazioni. Ma, ultimamente, le prospettive si sono rovesciate, senza che la classe politica, che reggeva lo Stato e gestiva le pubbliche risorse, ammonisse le famiglie circa il mutamento di rotta. Il pubblico impiego non è più la valvola di sfogo di una classe che è scesa dalla rendita al lavoro dipendente o che, lasciata la terra, cerca attraverso l’impiego pubblico l’ascesa sociale. Il gregge meridionale continua il suo fatela andare e la luna in cielo resta a guardare. D’altra parte il Sud non offre alternative. Professore o bidello, medico o infermiere, segretario comunale o netturbino, ieri il figlio mangiava, metteva su casa, generava a sua volta figli. Oggi non più.  E’ sopraggiunto il festival liberal-liberalista: ognuno è padrone di scommettere sul proprio avvenire e i cocci sono suoi. Un giovane che sta cinque o dieci anni all’università, per altrettanto tempo non viene contato fra i disoccupati. Inoltre, la folla degli universitari, benché senza avvenire, rappresenta una bella rendita per le città che sono sedi di grandi atenei. Roma, Pisa, Siena, Firenze, Bologna, Pavia fanno a gara per risucchiare rette, pigioni,  panini imbottiti con pessima mortadella e biglietti tranviari, dai proletari, disoccupati in fieri, o se vogliamo, omerici accattoni. 

I buffoni della politica sono in scena. La nave affonda, e loro, come il “Pianista” del film,  continuano a pestare i soliti tasti. Le famiglie hanno capito che il rifugio si è fatto stretto, ma su qual altro traguardo puntare? I padri e le madri tremano, ma continuano a spronare il figlio perché raggiunga il chimerico traguardo di forza-lavoro dello Stato magnanimo. 

Sono lontani i tempi in cui le popolazioni meridionali entravano prepotentemente sulla scena politica combattendo i francesi e i padani invasori, e le sciamberghe paesane che funzionavano da quinta colonna del nemico. Degli antichi briganti, ancorché vinti, massacrati, sterminati, deportati, immiseriti, sicuramente eroici attori, patrioti di un paese libero e autocentrato, non è rimasto più niente, tranne l’antistato mafioso. Anche l’alternativa  o emigranti o briganti è evaporata nei fumi della toscopadanità trionfante. 

Abbiamo tradito i nostri figli per viltà politica. Quando la corsa alle svalutazioni competitive, imposta dalla Fiat & C. ai governi cosiddetti nazionali, giunse al capolinea,  Ciampi accettò il diktat tedesco e svalutò la lira per l’ultima volta. Dopo di che è salita in cielo la stella Bassanini. Le pubbliche assunzioni sono state  condannate come un lusso che il popolo leghista, lavoratore e produttore, non poteva più permettere a degli incalliti dissipatori di pubbliche risorse, ai figli degli invocati Etna e Vesuvio. Tutto alle banche di Milano, Torino e Pascoli Toscani. Le banche si sono gonfiate e gonfiate, come la rana che voleva fare concorrenza al bue. Oggi dirigono il paese in tutto, persino nella riproduzione fallimentare di sogni impiegatizi. 

Nella favola, la rana scoppiò. Ma oggi, forse, le rane hanno lo stomaco d’acciaio.

Nicola Zitara
Aprile 2006



venerdì 24 ottobre 2014

Formia - Archeonight


Al fine di poter garantire un posto nella visita straordinaria che stiamo promuovendo, vi rendiamo partecipi del grande evento che ci sarà a Formia dal 31 ottobre al 2 novembre. Stiamo parlando di Archeonight – le notti dell’archeologia formiana.
Al di là dell’encomiabile calendario di aperture ed eventi, che vedranno coinvolti tutti i beni archeologici, architettonici della città, la nostra associazione Terraurunca ha preparato due appuntamenti davvero degni di nota.
Sabato 1 Novembre
Ore 10, 11 e 12

SOLO su prenotazione scrivendo a info@terraurunca.it

Visita straordinaria gratuita di Villa Caposele, già Villa di Cicerone, già Real Villa dei Borbone delle Due Sicilie. Un bene straordinario, chiuso al pubblico perché dal 1860 di proprietà privata e non visitabile.
Nel pomeriggio, alle ore 17, visita straordinaria della Chiesa di San Remigio, all’interno della Villa dei Duchi di Roscigno e Sacco.




domenica 19 ottobre 2014

Il Prestito di Gaeta


Quando nel 1860 Francesco II lasciò Napoli per non esporre la bellissima Capitale alle brutture della guerra ed ai probabili bombardamenti dei massoni dalle camice rosse, non portò con sé nemmeno gli effetti personali di un certo valore. Al segretario che gli ricordava il legittimo diritto di proprietà sui gioielli e sulla moneta personali egli rispose con fermezza: “Non mi appartiene niente, qua tutto è del popolo”. Un esempio di onestà non solo intellettuale che fa comprendere il vero spessore morale di una dinastia che ha saputo mantenere fino all’ultimo anelito di vita del Regno, quella dignità propria di una cultura antica e gloriosa. 
Ritiratosi a Gaeta per difendere la Patria secondo le regole del Diritto internazionale, Francesco II abbandonato soprattutto da chi si dichiarava alleato (la Francia), fu costretto a emettere dei titoli di Stato che gli consentissero di reggere il devastante assedio piemontese.
Per scrivere la storia occorre ricercare fonti attendibili che, come in un processo, provino o confutino tesi o facciano emergere nuovi argomenti. 
Nel caso del prestito di Gaeta, di cui pochi storici ne fanno menzione, il compatriota Daniele Iadicicco, nell’impegno di recuperare le fonti dirette più importanti della nostra storia, è risuscito ad entrare in possesso di un rarissimo documento di eccezionale importanza ed ha deciso di renderlo pubblico attraverso la nostra Rete.

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LE CARTELLE DEL PRESTITO DI GAETA

Centocinquattaquattro anni fa a Gaeta veniva emanato l’ultimo prestito pubblico del Regno delle Due Sicilie. Il 10 Ottobre 1860 le Reali Finanze di Re Francesco II emanavano un Prestito di Cinque Milioni di Ducati per sostenere le spese necessarie alla difesa del Regno.
Il ricordo al debito pubblico, ieri come oggi, è un fatto del tutto naturale per uno stato sovrano. Ma quando si tratta di atti ufficiali emanati da Gaeta, da Re Francesco II nei mesi dell’assedio tutto cambia. Elementi come questo rappresentano un tassello importante per ripercorrere una delle pagine belliche più raccontate del risorgimento, eppure pronte ancora oggi a far parlare di se per nuove scoperte.
Il 20 ottobre (come da foto del documento) il pegno fu emesso su cartelle con cedole in franchi, che in quel frangente storico era più piazzabile e solido, per la vendita all’estero. Infatti i 5 milioni di ducati, circa 21 milioni di franchi, erano difficilmente piazzabili all’epoca, data la situazione bellica in atto. 
Le “cartelle di Gaeta” sono oggi davvero introvabili, ed è tra i cimeli più rari dell’assedio di Gaeta. Non interessando le banche, queste fedi di credito furono piazzate presumibilmente tra Ambasciatori e Sovrani amici per un sostegno al Sovrano, che si pensa possano poi averle fatte sparire, in quanto elemento di imbarazzo, dato l’epilogo di Gaeta. Gli alti ufficiali o semplici investitori vicini al Re, che avessero sottoscritto tale prestito, non valendo di fatto più nulla con nascere del Regno d’Italia avranno senz’altro fatto sparire le prove di questi infruttuosi investimenti.
Un funzionario dell’epoca appellò questi investimenti "prestito di simpatia politica", essendo davvero rischioso quel tipo di investimento in quell’epoca e un puro atto di sostegno alla causa borbonica. Risulta nondimeno che “nel 1866 ancora innumerevoli erano i titoli rimasti senza collocazione sul mercato... e che .... è pur vero che diversi furono regolarmente emessi, come furono pagate anche le relative cedole. (1) 
Dei capitali non si ha quantificazione e se furono rimborsati, fatto sta che nelle cartelle tutta l’organizzazione delle rendite e relative cedole era demandata a Roma, dove essenzialmente furono gestite e depositate presso la Banca dello Stato Pontificio.
Si tratta di una rendita del 5%, con cedole incassabili da dicembre 1861 sino al 1866. Nella copia (in allegato) è stata ritirata solo la cedola del 1861, quando il Re era già in esilio a Roma.
Nel film “O’ Re”  di Luigi Magni (2), il generale José Borjes parla a Re Francesco II delle Fedi di Credito di Gaeta, con il quale la Regina Maria Sofia l’aveva pagato per la sua spedizione.
Ricerche, articolo e documento originale di 

Daniele E. Iadicicco


(1)   parvapolis.it
(2)   ‘O Re è un film del 1989 scritto e diretto da Luigi Magni, vincitore di un Nastro d'Argento per i migliori costumi (Lucia Mirisola) e di due David di Donatello per il miglior attore non protagonista (Carlo Croccolo) e i migliori costumi.











martedì 7 ottobre 2014

Milano non esiste



ROMA

Con Roberto D’Alessandro, Daniela Stanga, Domenico Franceschelli, Sara Borghi, Riccardo Bergo, Andrea Standardi, Annabella Calabrese. 

Scene e costumi Clara Surro, Regista Assistente Paolo Orlandelli. Ufficio Stampa Maria Fabbricatore.

Dopo 43 anni di lavoro in una fabbrica di Milano, un operaio calabrese sposato a una meneghina doc con cui ha avuto cinque figli, cerca di attuare il suo folle piano: portare tutta la famiglia a vivere in una casa che si è costruito, dopo anni di sacrifici, in riva al mare, nella sua amata Calabria. 

Il suo proposito è destinato però ad infrangersi contro il coriaceo diniego della moglie e dei figli, che non sono forse "milanesi milanesi", ma che sicuramente non sono calabresi. E che comunque di andarsene in Calabria non vogliono proprio saperne. E così, tra una cena e l'altra, si dipana una divertente commedia sull'emigrazione. Si ride, si ride, si ride, ci si commuove e si riflette, come d'altronde accade in tutti gli spettacoli di Roberto D'Alessandro.



Riduzioni per gli amici della Rete previa prenotazione al 389.9443355, oppure  mandando una mail a info@robertodalessandro.it.