giovedì 6 settembre 2012

La Sicilia pre-unitaria terra di eccellenze




La Sicilia pre-unitaria, 
terra di eccellenze

Il Regno di Napoli nel 1859 era il più rinomato in Italia 
per la sua solidità finanziaria, con un debito molto basso. 
La ricca produzione di zolfo, destinata all’esportazione, 
procurava buona valuta straniera


di 
Tino Vittorio

La collana di pagine su “La Malaunità d’Italia” riprende con un’analisi dettagliata dello storico Tino Vittorio sulle risorse dell’Isola prima dello sbarco dei Mille.

In tempi in cui ci si accinge a celebrare il centenario dell’Unità (17 marzo 2011) bisognerebbe rileggere Francesco Saverio Nitti (1868-1953) dell’inizio del secolo scorso e vedere di cambiare l’asse attorno al quale ruota il Paese di questi, di questo secolo: “è certo che il Regno di Napoli era nel 1859 non solo il più reputato in Italia per la sua solidità finanziaria… ma anche quello che, fra i maggiori Stati, si trovava in migliori condizioni. Scarso il debito; le imposte non gravose e bene armonizzate; semplicità grande in tutti i servizi fiscali e nella Tesoreria dello Stato. Era proprio il contrario del Regno di Sardegna, ove le imposte avevano raggiunto limiti elevatissimi; dove il regime fiscale rappresentava una serie di sovrapposizioni continue fatte in gran parte senza criterio, con un debito pubblico enorme, e a cui pendeva sul capo lo spettro del fallimento”.
Altri aspetti negativi affliggevano il Meridione dei Borbone, ai margini della rete di relazioni europee tessuta al centro da Inghilterra e Francia. Ma era una marginalità viva che tentava, tendeva a farsi centro.
Il carbone settecentesco inglese come lo zolfo ottocentesco siciliano, la Sicilia come il Northumerland o il Cumberland o la Contea di Durham, zone storicamente marginali, insediamenti di aristocrazie depresse: da quei margini sortì la contemporaneità, da quelli inglesi e da quelli siciliani.
La Sicilia preunitaria ebbe i suoi fortini di eccellenza per una produzione d’esportazione che procurava buona valuta straniera. Anzi tutto lo zolfo che sul desco della prima industrializzazione fu il piatto di portata che si disputava la leadership con il cotone indiano. Se questo fu detto the King (o il Re Sole) del modo di produzione industriale planetario, lo zolfo siciliano meritò il titolo di Gran Ciambellano, Lord Chamberlain, il cardinale Richelieu. Lo zolfo è stato rappresentato nei quadri mentali popolari come il metallo del Diavolo, una materia prima diabolica; eppure ha conosciuto soltanto encomi come se fosse opera divina, nonostante la tragedia dello sfruttamento minorile dei carusi e la devastazione ambientale dei fumi dei calcaroni.
Tra Caltanissetta e Catania nel 1839, l’anno dopo la crisi dei rapporti tra Regno di Napoli e Gran Bretagna, una quasi-guerra, si contavano 407 miniere in tutta la Sicilia. Cresceranno ancora di numero, nonostante le ricorrenti sovrapproduzioni.
L’epopea dello zolfo (e dello zolfo nisseno) - che tra alti e bassi si concluse con l’ultima vampata della guerra di Corea del 1950 e, quindi, con la costituzione dell’Ente minerario Siciliano della legge regionale dell’11 gennaio 1963 - origina nel 1787, anno del processo Leblanc mediante cui si otteneva da un acido di zolfo, quello solforico, messo a reagire con il sale comune, la soda utilizzata nell’attività dell’industria tessile come sbiancante e colorante.

Persino in America. In tutta Europa si consumavano agrumi di Sicilia.

E c’era l’agrume amaro, importato decorativamente dai conquistatori Arabi e nella versione dolce, ‘u puttuallo, dal Portogallo (e da qui in Sicilia) dove si imparò a conoscere sin dalla fine del XVI secolo. Consumato in quantità gigantesche dalla ottocentesca Royal Navy, ebbe la funzione di scorta della potenza di fuoco dei cannoni alle fiancate del naviglio di Sua Maestà Britannica. Lo scorbuto per chi andava per mare era molto più dannoso dell’imperialismo di Napoleone e della flotta francese. Ne decimava più che le palle di fuoco del naviglio napoleonico. Con le cannonate inglesi …. dell’arancia siciliana si mandò in frantumi la grandeur di Napoleone. 
Nel 1818 un brigantino palermitano approdò in America a scaricare succo di limone, cassette di arance, zolfo. Germania, Austria, Russia, Olanda, Inghilterra, gli Stati italiani erano grandi consumatori di essenze e di agro di limone siciliani. I derivati agrumari, l’acido citrico innanzitutto, fecero di Messina e di Palermo, la Conca d’oro, due grandi centri di esportazione internazionale, come Catania lo fu per lo zolfo. E sono agrumi che rianimarono e rivalutarono le terre non irrigue a coltura intensiva, in terreni trasformati, i più redditizi d’Europa. Poi verranno gli altri agrumi, anche americani, quelli della Florida.

Le industrie chimiche e tessili nascono dallo zolfo siciliano.

L’industria chimica e quella tessile, internazionali, volàno di tutto il processo di industrializzazione che ha dato il profilo irreversibile alla contemporaneità, nascono dallo zolfo siciliano. 
Fu un padre nostro, lo zolfo, di vita effimera, di una consistenza - quanto a durata e a struttura progettuale – analoga a quella dell’isola Ferdinandea che sbocciò dal mare antistante Sciacca nel luglio del 1831 e si inabissò poco dopo. Fu rimandato di sette anni lo scontro frontale tra il Regno di Napoli e Sua Maestà Britannica in disputa  per la proprietà dell’isola, con la guerra minacciata del 1838 (e che non ci fu, perché realmente non voluta da nessuno delle potenze europee in riassetto antirivoluzionario dopo i moti del ‘30). 
Se Caltanissetta è stata la capitale dello zolfo, Catania è stata città dello zolfo; mentre il territorio nisseno diventava un gruviera di miniere, l’affaccio a mare etneo iniziava a cingersi di ciminiere. L’apparato industriale catanese sul finire degli anni Ottanta dell’800 fu trainato dallo zolfo proveniente dai comuni di Assoro, Centuripe, Leonforte, Ramacca, Regalbuto, Raddusa, Agira. Tutti comuni, tranne due, che comporranno, assieme ad altri territori sottratti a Caltanissetta, la provincia di Enna, costituita nel dicembre del 1926. Poi verrà lo zolfo americano che annienterà gradualmente il monopolio di quello siciliano.

Articolo pubblicato il 09 gennaio 2010 dal QUOTIDIANO DI SICILIA  
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