Per favore, non chiamate briganti
i patrioti del Sud
di
Eugenio Di Rienzo
Il 9 settembre 1860, appena due giorni dopo il trionfale ingresso di Garibaldi a Napoli, un vecchio avversario della dinastia borbonica scriveva che quell'evento era si era verificato in un clima moralmente guasto che poco di buono faceva sperare per l'avvenire. La liberazione del Sud non era avvenuta grazie ad una vasta mobilitazione popolare, ma era stata opera di una conquista straniera, resa possibile dall'appoggio dell'Inghilterra e soprattutto dal tradimento di Francesco II da parte di tutti quelli che avrebbero dovuto sostenerlo.
Si trattava di parole profetiche. Subito dopo la sua entrata nel territorio delle Due Sicilie, il generale piemontese Enrico Cialdini scriveva a Torino di «essere stato costretto a dare alle fiamme alcuni villaggi perch´ numerosi gruppi di volontari avevano formato bande di guerriglieri per sostenere la causa del Re di Napoli, mentre la maggioranza della popolazione si era rifiutata di unirsi alle milizie garibaldine». Da questi episodi di resistenza spontanea nacque il cosiddetto «brigantaggio politico», che non fu affatto, come proprio quest'ambigua espressione dimostrava, un episodio di criminalità comune.
Nel novembre 1861, il Parlamento italiano rifiutò di utilizzare per definire questa rivolta il termine di «guerra civile», esprimendo un giudizio di valore al quale si sarebbe conformata, con rare eccezioni, tutta la storiografia italiana, fino alla comparsa del piccolo, grande libro di Salvatore Lupo: L'unificazione italiana. Mezzogiorno, rivoluzione, guerra civile (Donzelli, pagg. 184, euro 16,50). Un saggio, scritto fuori del coro retorico delle celebrazioni per il centocinquantenario dell'Unità, che descrive, senza sconti, gli orrori del primo conflitto intestino del nostro Paese destinato a protrarsi, nonostante le misure di feroce di repressione adottate per combatterlo, fino al 1870, allargandosi a macchia d'olio dall'Abruzzo, al Molise, alla Puglia, alla Calabria, alla Sicilia.
Del fatto che l'incendio del Sud rappresentasse un compatto fenomeno di rigetto alla soluzione unitaria fu invece immediatamente convinta l'opinione pubblica europea. Nella seduta della Camera Comuni del 4 maggio 1863, opposizione e maggioranza contestarono duramente l'operato del governo Palmerston che, con il suo appoggio alla politica espansionistica di Cavour, aveva contribuito a sostituire «il dispotismo dei Borboni allo pseudo-liberalismo di Vittorio Emanuele responsabile di aver inaugurato nelle province meridionali un vero e proprio Regno del Terrore». Come chiamare, se non con questo nome, sostenevano i parlamentari britannici, l'inquisizione sulla stampa periodica che aveva portato alla chiusura di tutte le gazzette non allineate con il nuovo corso politico?
Si trattava di parole profetiche. Subito dopo la sua entrata nel territorio delle Due Sicilie, il generale piemontese Enrico Cialdini scriveva a Torino di «essere stato costretto a dare alle fiamme alcuni villaggi perch´ numerosi gruppi di volontari avevano formato bande di guerriglieri per sostenere la causa del Re di Napoli, mentre la maggioranza della popolazione si era rifiutata di unirsi alle milizie garibaldine». Da questi episodi di resistenza spontanea nacque il cosiddetto «brigantaggio politico», che non fu affatto, come proprio quest'ambigua espressione dimostrava, un episodio di criminalità comune.
Nel novembre 1861, il Parlamento italiano rifiutò di utilizzare per definire questa rivolta il termine di «guerra civile», esprimendo un giudizio di valore al quale si sarebbe conformata, con rare eccezioni, tutta la storiografia italiana, fino alla comparsa del piccolo, grande libro di Salvatore Lupo: L'unificazione italiana. Mezzogiorno, rivoluzione, guerra civile (Donzelli, pagg. 184, euro 16,50). Un saggio, scritto fuori del coro retorico delle celebrazioni per il centocinquantenario dell'Unità, che descrive, senza sconti, gli orrori del primo conflitto intestino del nostro Paese destinato a protrarsi, nonostante le misure di feroce di repressione adottate per combatterlo, fino al 1870, allargandosi a macchia d'olio dall'Abruzzo, al Molise, alla Puglia, alla Calabria, alla Sicilia.
Del fatto che l'incendio del Sud rappresentasse un compatto fenomeno di rigetto alla soluzione unitaria fu invece immediatamente convinta l'opinione pubblica europea. Nella seduta della Camera Comuni del 4 maggio 1863, opposizione e maggioranza contestarono duramente l'operato del governo Palmerston che, con il suo appoggio alla politica espansionistica di Cavour, aveva contribuito a sostituire «il dispotismo dei Borboni allo pseudo-liberalismo di Vittorio Emanuele responsabile di aver inaugurato nelle province meridionali un vero e proprio Regno del Terrore». Come chiamare, se non con questo nome, sostenevano i parlamentari britannici, l'inquisizione sulla stampa periodica che aveva portato alla chiusura di tutte le gazzette non allineate con il nuovo corso politico?