giovedì 24 novembre 2011

I Fiumi vesuviani



 Un approfondimento sullo stato degli alvei vesuviani e la loro ragion d’essere. L’intervista a Eugenio Frollo,
autore di numerosi lavori sulle opere idrauliche del Somma/Vesuvio.
di
Ciro Teodonno

La vulgata è ormai questa! Anche se soffia un vento di tramontana siamo sottoposti a una tropicalizzazione del clima e quindi c’amma stà! Ci si deve rassegnare al fatto che se si annega in pieno centro cittadino o ci si ritrova allagati in montagna, lontano da mari, laghi e fiumi, la colpa è solo nostra; o meglio, in assenza di responsabilità, perché l’acclamata fatalità non ne contempla, paradossalmente non resta che un sol colpevole, colui che s’è trovato al posto sbagliato nel momento sbagliato!
Ad acque ritirate, ma con il fango ancora lì, a seccare al sole, abbiamo deciso di non rassegnarci e di interpellare qualcuno che faccia chiarezza sulla situazione delle opere idrauliche del Somma/Vesuvio, al cui stato d’abbandono è da imputare buona parte dei disastri a valle del Vulcano. Il nostro interlocutore è Eugenio Frollo, architetto e restauratore, nonché autore di numerosi lavori sulle opere idrauliche del Somma e i Regi Lagni, persona dalla profonda conoscenza dei vari sistemi di irreggimentazione della acque sommane e dell’Ager Campanus ma soprattutto, cosa non scontata affatto, amante della sua terra.
«Le opere per la bonifica idrogeologica, che oggi sono quasi del tutto sconosciute, servono per salvare vite umane! Gli ultimi eventi di Genova ma non solo, ci dimostrano la terribile attualità del tema delle acque vesuviane. Quando poi, succedono cose come quelle di Pollena, una decina di giorni fa, si viene a scoprire che quelli che conoscevano meglio questo tema e sapevano anche come risolverlo erano i Borbone. Le loro opere di imbrigliamento le si possono trovare quasi dappertutto, le trovi manomesse, senza manutenzione ma le ritrovi a Sarno, sul Monte Alvano, ne ritrovi tantissime sul Monte Somma e sarebbero anche dei pezzi eccezionali di archeologia idraulica! Anche soltanto da visitare! Perché sono opere meravigliose. Le trovi in Calabria e così via. Questi lagni servono, come servono i Regi Lagni con tutti i loro fossi, controfossi e ramificazioni!».
Ma partiamo dall’inizio, come nascono i lagni?«Dobbiamo risalire a un periodo, l’inizio dell’ottocento, in cui la difesa del suolo e la bonifica delle paludi era vista come un’opera di civiltà! I Borbone, ripeto, avevano capito benissimo come risolvere il problema. È adesso che non lo si capisce! Per molti, la sola cosa importante è il cemento. L’ingegnere Carlo Afán de Rivera girò per tutta l’Italia per conto del governo borbonico, per studiare la situazione dei bacini idrografici e sempre a lui dobbiamo l’attuale suddivisione dei bacini dell’Italia Meridionale.
Le opere vennero intraprese dall’Amministrazione Generale delle Bonificazioni dei Domini Continentali del Regno delle Due Sicilie, nel 1855 ad opera degli ingegneri del Corpo Ponti e Strade, seguendo le indicazioni di Afán de Rivera, ormai scomparso. Nel 1912 le opere furono portate definitivamente a termine sotto la direzione dell’ingegnere del Genio Civile postunitario Carlo Simonetti, che completò le opere borboniche».
Possiamo dire quindi che quelle opere erano sostanzialmente complete e funzionali …«Sì ma è stata poi la mano dell’uomo a mutilarle e offenderle!».
Qual è l’uso che possiamo ancora farne?«L’uso è quello per il quale sono stati creati, l’irregimentazione delle acque meteoriche e delle modeste colate di lava. Così come accadde nel 1906, quando la lava fu contenuta dai canali e in più, l’anno dopo, lo stato cacciò i fondi necessari per riparare i canali. Pronti per altri eventi calamitosi, il problema fu risolto. L’opera di difesa più comune che troviamo sul Somma è la briglia. Di briglie ne esistono sei o sette tipi, da uno a cinque salti ad esempio, affiancate a una vasca e così via; senza scendere troppo nel tecnico, basti sapere che erano sempre individuate nella giusta tipologia rispetto al quel preciso punto, di quel terreno, insomma non erano fatte in serie.
Ma non solo, si attuavano anche interventi di riforestazione, si conosceva già quella che oggi chiamiamo ingegneria naturalistica! Infatti, sui suoli antistanti gli assi idraulici venivano fatte sistemazioni di bonifica montana molto simili a quelle odierne. Oggi invece, con la cementificazione dei suoli aumentano le superfici non drenanti, questo causa una diversa velocità di scorrimento delle acque e fin qui ci arriva anche chi non è un ingegnere idraulico! Questa maggiore velocità causa maggiore erosione, che dall’oggi al domani può creare i danni che facilmente immaginiamo».
Il passo alla politica è breve …
«Certo! Ci sono alcune correnti politiche che non ammettono proprio questo tipo di tutela dell’ambiente, non è nella loro cultura, che è quella di costruire col cemento! Altri invece dicono no! La difesa del suolo è la prima opera pubblica e che viene prima della TAV e del ponte sullo Stretto! Mi si darà poi del nostalgico quando dico che queste opere andrebbero fatte con la pietra vesuviana. Studi approfonditi hanno acclarato che il cemento, in queste situazioni, non serve a niente è come un corpo estraneo. Le opere in pietra lavica hanno invece una vita, anche rispetto all’evento meteorico; in parole povere, una briglia, se viene seppellita dal fango, un tecnico può anche ricalcolarne la posizione, a quota superiore».
Qual è lo stato attuale del Vesuviano?«L’incuria su queste opere è piombata negli anni settanta! Non solo con la pressione edilizia, ma anche con i passaggi di competenza! A un certo punto il Genio Civile regionale non sapendo come intervenire, lo ha fatto con il cemento armato. Ci vogliono tecnici competenti in queste cose … comunque, con gli anni settanta, arrivano anche i tombamenti! I tratti di alveo che attraversano i centri abitati vengono ricoperti per creare delle strade. A Pollena Trocchia, Massa di Somma, Cercola, la sezione idraulica del canale sotterraneo è inferiore a quella del canale in superficie, a cielo aperto.
Me la spiegate la logica? Conosco personalmente gli ingegneri che hanno progettato questi tombamenti, ho più di una volta polemizzato con loro, mi hanno detto che quello era pane, nel senso che gli venivano commissionate quelle opere e loro le progettavano per la parcella».
E con la coscienza come stanno messi?«Con la coscienza? Non bene, gliel’ho chiesto».
Almeno ne hanno una!«In passato mi sono rivolto anche alla sovrintendenza, che mi ha consigliato di convincere i sindaci a “stombare”… sì e vaglielo a dire a un sindaco: rinuncia a una strada e porta un alveo a cielo aperto!».
Perché, cos’ha di particolare un alveo a cielo aperto?«È più sicuro, un alveo intombato può invece essere occluso facilmente. Poi c’è l’esondazione, quando si crea un tappo, tutto quello che sta a monte esce fuori dagli argini. Ma c’è anche l’effetto proiettile. Nel momento in cui il tappo viene via per la pressione, il canale coperto spara dei proiettili verso la popolazione della fascia pedemontana. Andai dal sindaco di Pollena Trocchia, l’attuale, per proporgli una serie di opere, tra cui anche il museo della bonifica vesuviana, mi rispose: “ma che dobbiamo fare dei canali, sono in disuso!” Come dire: ora non c’è l’emergenza; il canale non serve! Allora mando a casa tutti quelli del 118, perché sto bene di salute! Ma quando ne avrò bisogno non ci sarà nessuno. “Ho cose più importanti da fare, c’ho le scuole, il cimitero …”».
Come si arriva ai nostri giorni?«Alla fine degli anni novanta, un gruppo di tecnici, di cui mi onoro di aver fatto parte, ragiona su queste strutture e parallelamente si preoccupa di creare lavoro per quei lavoratori in mobilità e li si mette a ripulire questi canali».
Dal Genio Civile fino agli anni novanta chi gestiva la rete degli alvei?«Teoricamente il Consorzio di Bonifica. Un’emanazione della regione (Esiste anche l’Autorità di Bacino che ha però solo compiti di studio e programmazione, ndr.). Si chiama consorzio perché costituito dai proprietari dei suoli, appunto consorziati tra loro per amministrare i suoli e le irrigazioni. Non ha senso però che il consorzio lo faccia un ente sovraordinato come la Regione, per farti pagare lo stesso tributo. I consorzi divengono dei veri e propri enti pubblici. Ed è ancora meno giusto quando da quel tributo non ne viene fuori nessun beneficio cioè non viene fatta la manutenzione delle opere idrauliche».
I consorzi di bonifica si affidavano poi a delle società speciali per i lavori di manutenzione come in passato la RECAM …«C’è stato solo un periodo nel quale hanno delegato, perché i consorzi hanno le loro squadre di operai, anche se pochi e malpagati e che intervengono solo in caso di necessità».
Qual è la situazione attuale del consorzio di bonifica?«Sono in attesa di un nuovo consiglio di amministrazione da un bel po’ di tempo».
Sono praticamente paralizzati …«Allo stato attuale sì!».
Praticamente da un bel po’, visto il diffuso abusivismo negli alvei …«Un alveo può avere un’occupazione naturale, occupato da tutto ciò che normalmente deve percorrerlo e da un’occupazione antropica del tutto innaturale, la casetta abusiva, il deposito di materiale tossico. E pensare che si valutava un uso escursionistico di questi canali!».
(Fonte foto: Rete Internet)


Fonte ilmediano.it del 12.11.11