Gira gira la colpa non è degli altri
di
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Lino Patruno
Non è per stare a parlare ancòra di Giorgio Bocca. Ma la sua scomparsa ha rinfocolato la polemica su quanto antimeridionale potè essere. Soprattutto su quanto antimeridionalismo possa esserci oggi in giro. Molto. Del resto il giornalista ex partigiano piemontese non andò per il sottile definendo “Inferno” il Sud in un suo libro famoso anche per una serie di errori di nomi, tempi, luoghi: tanto da far sospettare che non fosse troppo informato.
Ma tant’è. Oltre però che non sbagliare il “chi, come, quando, dove”, un giornalista dovrebbe anche rispondere al “perché” di ciò di cui parla. Cioè non basta dire “Napoli città decomposta da migliaia di anni” (con Napoli emblema del Sud intero: al momento dell’Unità d’Italia, i sabaudi compaesani di Bocca definivano “napo” tutti i meridionali).
Non basta dire “napoletani plebe che vive di magia”. E per completare, non basta dire, come Bocca nell’ultima intervista, che al Sud vive “gente repellente” che all’improvviso sbuca dagli angoli. Madonna.
Obiezione: il giornalista fotografa la realtà, spetta ad altri indagarne le cause. Ma allora, bisogna fotografare tutto, per esempio il popolo di formiche che ogni giorno si spezza la schiena come il resto del Paese. E poi un libro non è un articolo di giornale. Altrimenti si finisce a un comico decotto come Villaggio il quale, dopo l’alluvione della sua Genova, dice di essere “vaghissimamente indignato perché i liguri hanno la presunzione di essere una cultura anglosassone diversa dalla cultura sudista borbonica che è forse la piaga di tutta l’Italia”. Insomma se piove è colpa di Napoli.
Gli scampoli del pensiero di Bocca interessano perché del tutto simili al più o meno generale (pre)giudizio sul Sud. In sintesi: occorre abbandonare le vecchie abitudini “clientelari, assistenziali, parassitarie del malcostume meridionale”. Questo (mal)costume meridionale è “estraneo e nocivo a un Paese industrialmente avanzato”. Detto in stile Villaggio, non è da Genova. Conclusione: Sud palla al piede del Paese.
Prima di procedere, necessita un “avviso ai naviganti” per i più feroci antimeridionalisti in circolazione: gli intellettuali meridionali. Quelli che “non dobbiamo sempre dare la colpa agli altri”, quelli che “a furia di giustificarci con la storia non si fa un passo in avanti”, quelli che “facciamoci un esame di coscienza”. Diciamo quelli per i quali è faticoso uscire dalla casta dei benpensanti. Soprattutto è faticoso mettersi contro la casta dominante: poi chi me lo pubblica il libro, chi mi invita in tv? La casta della quale Bocca era il più sboccato.
Il colpo di scena è che Bocca ha ragione. E anche il rancido Villaggio. Le abitudini “clientelari, assistenziali, parassitarie” sono un malcostume, e fanno danno al Sud e a tutto il Paese. Quanto alla “cultura sudista borbonica”, quand’anche ci fosse stata, è strano che abbia contaminato il resto d’Italia perché i Borbone nel 1861 persero. E quanto all’”abietta” burocrazia borbonica, dal 18 marzo 1861 la burocrazia fu ovunque sabauda.
E’ vero anche che decine di migliaia di ragazzi ogni anno lasciano il Sud non solo (e soprattutto) per mancanza di lavoro, ma anche perché non disposti a subìre il clientelismo della raccomandazione, la mortificazione dell’assistenza, lo spettacolo del parassitismo. Ma allora: o i meridionali nascono razza inferiore, o bisogna appunto capire i “perché” di tutto ciò. Premettendo che i primi colpevoli sono i meridionali medesimi. Per aver accettato senza ribellarsi ciò che le loro impavide o complici classi politiche (anzi dirigenti) hanno a loro volta accettato o provocato.
All’indomani dell’Unità, il Sud è stato rappresentato da un due per cento della popolazione di proprietari terrieri schierato contro il restante 98 per cento. Due per cento a difesa dei suoi privilegi. E cieco di fronte al disegno del nuovo Paese con l’iniziale sviluppo dirottato nel Nord accentratore, più vicino all’Europa, in fondo vincitore. Anche grazie a quelle classi dirigenti, l’effetto è stato un Sud condannato nel tempo all’intervento dello Stato per supplire ai suoi ritardi. Con una invasione di economia pubblica che è tutto il contrario dell’efficienza e della competitività. Uno statalismo nel quale, per capirci, per lavorare bisogna conoscere l’onorevole, non essere bravo.
Questa classe dirigente è stata specialista anzitutto nel far arrivare soldi. E nel farli arrivare dove serviva per avere in cambio i voti, non dove servivano per la crescita. Malcostume. Però oggi la mano corrotta dello Stato è presente in oltre la metà dell’economia non sudista ma nazionale: più dell’Unione Sovietica del tempo. E quanto alla competitività, l’Italia (non il Sud) è agli ultimi posti del mondo, dietro anche al Botswana, con tutto il rispetto. Italia meridionalizzata? O Italia tutta malata con un Sud abbastanza di più? Bocca non può rispondere, ma ci pensi.
Fonte: Gazzetta del Mezzogiorno
Fonte: Gazzetta del Mezzogiorno