giovedì 19 gennaio 2012

La rivolta dei Forconi




Ci chiedono da più parti di conoscere il nostro pensiero su quanto sta accadendo in Sicilia da qualche giorno. Quella rivolta diffusa e partecipata che sta gradualmente paralizzando i paesi e le città della Sicilia e, da qualche ora, della Calabria.
Sicuramente una situazione preoccupante per l’ordine pubblico visto che, da un momento all’atro, potrebbe degenerare in una rivolta generalizzata con sviluppi inimmaginabili.
Tuttavia, nonostante i toni euforici di alcuni indipendentisti e l’incitamento ad intervenire nella “lotta” da parte di chi “arma e manda” da una comoda poltrona ben piazzata sotto una tastiera di un p.c., quella in atto non è una “rivoluzione identitaria”.
A confermare ciò non sono solo le innumerevoli bandiere italiane piazzate qua e là su automezzi e barricate e nemmeno le componenti associative che hanno dato vita alla protesta che, oltre al Movimento dei Forconi (associazione autonoma di contadini), sono individuate dal Partito delle Aziende, dal Movimento di Riccardo Sindoca, da Mariano Ferro, il fondatore del MPA di Lombardo, da Scilipoti e il suo partito, dal "Movimento per la gente" di Maurizio Zamparini, dal Presidente del Palermo Calcio, dalle Associazioni Imprese Autotrasportatori Siciliani e da "Forza Nuova".
Che non è una “lotta a base identitaria” lo dicono sia gli organizzatori che i partecipanti. Pertanto è chiaro che la protesta, anche se sacrosanta, punta a sanare solo i sintomi e non le cause del male.
Purtroppo il problema è sempre lo stesso, la mancanza di una presa di coscienza da parte del Popolo. In queste condizioni di “marcata ignoranza identitaria” qualsiasi iniziativa, anche se di dura protesta, già al nascere è destinata a fallire.
La vera rivoluzione è quella culturale, quella che prende vita nel pensiero dell’uomo libero, quella rivoluzione ideologica in grado di trasformare il dolore in gioia, gli anni in minuti, le sconfitte in vittorie.
Pertanto, non fatevi illusioni, cari indipendentisti, solo quando si vedranno sventolare sulle proteste della nostra Gente le bianche bandiere dinastiche delle Due Sicilie, si potrà salutare l’alba di una nuova era.

Cap. Alessandro Romano





18 gennaio 2012 - Ho attraversato la Sicilia da un capo all’altro; ho parlato con quanti stanno sfidando il freddo e la pioggia per fare valere le proprie ragioni; ho incontrato automobilisti furenti per i blocchi, ma comunque sempre solidali con la protesta; ho ascoltato commercianti ed esercenti all’interno dei cui negozi la merce scarseggia quasi al pari degli avventori. Dappertutto ho incontrato un popolo che ha riscoperto l’orgoglio di appartenere alla Sicilia e di rappresentarla forse meglio di quanto stanno facendo quanti siedono nelle istituzioni con questo mandato, ad oggi ampiamente disatteso.
Per queste ragioni la protesta che da lunedì sta paralizzando l’Isola non è uno sciopero come gli altri, ma si sta progressivamente trasformando in una lotta per riaffermare la propria identità e per difendere secoli di storia. La Sicilia, e soprattutto i siciliani, sembrano aver detto basta improvvisamente ad anni di vessazioni ed ingiustizie, di malgoverno e soprusi; quasi come una caldaia che lentamente accumula vapore fino a scoppiare improvvisamente ed in maniera incontrollabile. Un lento ma inesorabile flusso che è dilagato sui social network e sulla rete, rendendo vano l’osceno tentativo di boicottaggio perpetrato dalla stampa nazionale; non solo dalla Rai, che ha perduto l’ultima occasione per giustificare il pagamento di un canone per un presunto servizio pubblico mai erogato, ma anche sulle reti Mediaset e persino sui canali all news che di solito di questi avvenimenti vivono. Un boicottaggio a metà tra il tentativo di sminuire la protesta e quello, altrettanto maldestro, di nasconderla, come si fa con la polvere sotto il tappeto; un tentativo miseramente franato sotto i colpi di una protesta la cui portata si annuncia epica, senza bisogno di scomodare i vespri.
Ma ancora più del silenzio dei mass media risuona assordante quello della politica che si dimostra, ancora una volta, semmai ce ne fosse bisogno, assolutamente impreparata a rappresentare il reale sentire dei cittadini; persino leader ed aspiranti tali abituati a pontificare su tutto lo scibile umano sono rimasti in prudente silenzio, indisponibili a rischiare anche la solidarietà ai manifestanti, salvo poi prepararsi a salire, copiosi, sul carro dei vincitori. Ed il governo nazionale, quel governo Monti che ad alcuni appare miracoloso ma che sta rivelando il suo vero volto nordista e completamente vocato solo alla risoluzione dei problemi della grande finanza e del sistema bancario di cui è evidente espressione, è troppo impegnato con lo spread per ascoltare chi muore i fame. Eppure basterebbe solo leggere la storia per capire che la rabbia di un popolo non può essere sottovalutata, né tantomeno snobbata. Ci provarono tanti anni fa in Francia il re e la regina, allo scoppiare delle prime insurrezioni rivoluzionarie, e si sa come andò a finire: la loro testa sta ancora rotolando. Meditate, governanti, meditate.