Ha perso per strada anche l'assessore al bilancio che cercava
di far tornare i conti
Si sfarina il regno di de Magistris
Voleva fare un nuovo modo di governare è
invece si è avvitato
di
Marco
Demarco
dal Corriere del Mezzogiorno
Da Che Guevara a Casini, da Lenin a Bersani. E in guardaroba,
chissà, forse già è pronta la grisaglia. Che non fosse più tempo di bandane lo
si era capito da tempo, ma che dalla rivoluzione saremmo balzati di colpo alla
controriforma, questo, un anno fa, davvero era difficile prevederlo.
Un anno fa, da Napoli sembrava dovesse partire il movimento che avrebbe
dovuto cambiare le sorti della città; aggredire gli interessi conservatori del
Paese e proporsi come modello, nell'era della globalizzazione, di un nuovo
protagonismo civile.
Il «laboratorio Napoli» si è invece rivelato niente altro che uno studiolo
per modeste alchimie politiche, lì dove si dosano poltrone e consensi, incarichi
e sostegni elettorali e non c'è più spazio per visioni strategiche della città.
Per questo, il lungomare «liberato» dalle auto basta e avanza, mentre le
compatibilità di bilancio sono solo un inutile ostacolo dei nemici di classe.
Solo un anno fa, Luigi de Magistris voleva superare la secolare distinzione
tra destra e sinistra, sostituire gli arrugginiti arnesi del bassolinismo e del
basso impero iervoliniano e affermare un diverso modo di governare basato sui
beni comuni e sul superamento della proprietà privata, sulla critica del
capitalismo e sulla decrescita felice.
Vagheggiava, il sindaco, di liste civiche nazionali e di nuove primavere
degli amministratori locali; dava per fatte alleanze con il milanese Giuliano
Pisapia e con il barese Michele Emiliano; si proponeva di mettere nell'angolo
tutti i grandi partiti, Pd compreso; e si atteggiava a sindaco non di Napoli ma
d'Italia. Per questo, aveva chiamato intorno a sé cantautori affermati e
magistrati di indubbia personalità, promettenti manager ambientalisti e giovani
docenti di economia politica.
Dopo un anno, tutto è cambiato. Da centro dell'innovazione politica, de
Magistris si è trasformato in periferia disadorna. Perfino il linguaggio si è
scolorito: è passato dalle iperboli rivoluzionarie alle ruvidezze del gestore
politico. Ora non c'è nulla da «scassare», ma solo qualche vendetta da
consumare. Chi non è più della partita viene come meno definito «incapace»,
«inadeguato al compito», «ignorante della realtà sociale». De Magistris doveva
aggregare ed è stato emarginato.
Via Roberto Vecchioni, via Giuseppe Narducci, via Raphael Rossi, via Riccardo
Realfonzo. Nel frattempo, Pisapia non si è mai visto, Emiliano è inciampato per
strada e della primavera dei sindaci non si è più parlato.
Sempre più solo, de Magistris ha dovuto ripiegare prima sull'altra sponda,
dove ha trovato i berlusconiani Caldoro e Cesaro, ottimi compagni di viaggio per
spese pubbliche di dubbia utilità; e poi sul doroteismo come strumento di
sopravvivenza. Ha cominciato, infatti, a sostituire i sogni di gloria
rivoluzionari con la tessitura di una fitta rete di relazioni con singoli
notabili e fazioni di partito, gruppi di interesse e realtà corporative.
Senza più movimento o lista civica nazionale, chiuso sul fronte populista dai
grillini e su quello rigorista dai montiani, de Magistris ha cominciato a
utilizzare ogni singola nomina per contrattare con i superstiti, dal suo punto
di vista, dell'antico regime.
Come argine alla corruzione, a Napoli è arrivato il prefetto Achille Serra,
ma non dopo che questi avesse subordinato l'accettazione dell'incarico al
consenso di Cesa e Casini. All'Acn, la struttura organizzativa della Coppa
America, è arrivato Mario Hubler, nonostante questi si fosse dichiarato
«bassoliniano doc».
E in giunta è arrivato Enrico Panini, della segreteria nazionale della Cgil
e, guarda caso, componente dell'assemblea nazionale del Pd. Mentre l'altro
assessore, Salvatore Palma, si è fatto le ossa nella stagione amministrativa
della Iervolino.
La tessitura delle reti, infine, riesce più facile nell'opacità che nella
trasparenza. È fatta di minacce e promesse, di concessioni e di arroganze. Non a
caso, nel liberarsi di Realfonzo, de Magistris, pubblicamente, nel corso di una
conferenza stampa, ha invitato il suo ex assessore a pensarci bene prima di
commentare, perché, ha dichiarato, «Realfonzo sa le cose che gli ho detto ieri
sera e sa che sono una persona che fa quello che dice».
Senza pudore, il sindaco ha fatto dunque allusione a una trattativa dove, con
grande probabilità, da una parte c'erano offerte di future personali
convenienze, e dall'altra silenzi sullo stato reale dell'amministrazione
comunale. Tuttavia, Realfonzo non ha taciuto, e questo va a suo merito. Meglio
sarebbe stato, però, e più forte sarebbe apparsa la sua denuncia, se avese
parlato prima di essere «destituito». Proprio così: destituito. Quasi una
picconata verbale per il Trotsky di turno.