giovedì 21 luglio 2011

LA STORIA CELATA TRA LE RIGHE DELL’ITALIA UNITA

La storiografia, di ieri e di oggi, si impegna a far luce sul Risorgimento italiano e sulle violenze subite dall’allora Regno delle Due Sicilie ad opera dei garibaldini e dell’esercito sabaudo.
In occasione del centocinquantesimo anniversario dell’Unità d’Italia, i media si sono impegnati a divulgare la storia delle origini del nostro Paese, eppure, ancora oggi, parte della storia, bollata come “Meridionalismo”, sembra essere volutamente taciuta. Non tutti conoscono quello che per milioni di meridionali è stato il Risorgimento italiano. Ne parla il giornalista e scrittore Pino Aprile nel suo ultimo successo editoriale: Terroni, tutto quello che è stato fatto perché gli italiani del sud diventassero meridionali. “Io non sapevo”, scrive l’autore, “che i piemontesi fecero al Sud quello che i nazisti fecero a Marzabotto”; “non sapevo”, continua, “che, nelle rappresaglie, si concessero libertà di stupro sulle donne meridionali […] Ignoravo che, in nome dell’Unità nazionale, i fratelli d’Italia ebbero pure diritto di saccheggio delle città meridionali, come i Lanzichenecchi a Roma”.
“Cose da cloaca”, avrebbe detto lo stesso Garibaldi ricordando le atrocità subite dal Sud da parte delle autorità costituite. Una storia indicibile che trova tuttavia riscontro in numerosi documenti storici e in alcuni “dati di fatto”, cui la stessa storiografia ufficiale deve dare credito. Non è casuale la poca attenzione data, in questi giorni, specie da canali e testate specializzate, al fenomeno del Brigantaggio, pur fondamentale per comprendere gli anni immediatamente successivi all’Unità d’Italia. Unica spiegazione sono quelle verità “scomode” che si celano dietro ad un fenomeno anzitutto sociale, è vero, ma pur sempre politico.
“Si incarcerarono i meridionali senza accusa, senza processo e senza condanna”, scrive sempre Pino Aprile, “come è accaduto con gli islamici a Guantánamo”, etichettando come briganti tutti coloro che si opposero al nuovo governo italiano. Non che al Sud il pensiero risorgimentale non si fosse affermato o l’idea di un’Italia unita non trovasse proseliti, migliaia sono i patrioti meridionali che servirono, con i Mille, la causa italiana, ma per loro, in pieno accordo con le ideologie garibaldine, l’ “alleanza” con Vittorio Emanuele II non fu che il pretesto per costringere i Borbone, mai totalmente propensi all’ipotesi di una monarchia costituzionale, alla fuga. Alla nascita di una nuova Repubblica napoletana, molto probabilmente ciò che realmente agognavano quanti combatterono al fianco del generale Garibaldi, si oppose duramente, e con ogni mezzo, lo stato sabaudo.
L’intervento militare delle truppe piemontesi, fermato a Teano dalla “resa” pacifica di Garibaldi, che concesse il Sud al re, e le azioni “anti-terroristiche” organizzate dal governo italiano nel meridione, giustificate sotto il nome di “lotta al brigantaggio”, spensero i sogni di quei patrioti italiani, ancor prima che meridionali, che avevano sperato di creare, con una novella Repubblica napoletana, un’alternativa, possibile e repubblicana, ad un’Italia sabauda, piemontese e monarchica.
Questi patrioti, si veda ad esempio Carmine Crocco, alleatisi con filo-borbonici ed ex soldati dell’esercito borbonico, lottarono poi, sotto il nome dispregiativo di briganti, per difendere il Sud dall’avanzata di un re “straniero”, certamente non diverso dai suoi predecessori, ma pur sempre non napoletano, come invece si definiva Francesco II di Borbone, ultimo re delle Due Sicilie. La repressione piemontese fu micidiale. “Non volevo credere”, scrive ancora Pino Aprile, “che i primi campi di concentramento e sterminio in Europa li istituirono gli Italiani del Nord, per tormentare e farvi morire gli italiani del Sud, a migliaia”.
Anche i meridionali, come Garibaldi e i suoi, dovettero scendere a patti con i Savoia, accettando, a loro spese, la monarchia costituzionale sabauda come l’unica via possibile per un’Italia unita. “Né sapevo”, continua l’Aprile, “che i fratelli d’Italia venuti dal Nord, svuotarono le ricche banche meridionali, musei, case private (rubando persino le posate), per pagare i debiti del Piemonte”, il quale, aggiungo, ben lontano dal potersi considerare una “potenza europea”, non avrebbe potuto gestire altrimenti, economicamente, un territorio, l’intera penisola italiana, ben più vasto del Regno di Sardegna e la cui situazione post-unitaria non fu affatto facile. Prosciugando le risorse economiche del Regno delle Due Sicilie, uno stato sotto i Borbone, per l’epoca, già “fortemente” industrializzato, tanto da vantare la prima ferrovia italiana, la prima nave a vapore a solcare il Mediterraneo e la terza flotta navale più potente del tempo, frutto di una cantieristica straordinariamente all’avanguardia, i Savoia poterono fare l’Italia.
“La questione meridionale”, scriveva Nitti, uno dei massimi esponenti del Meridionalismo, “è una questione economica, ma è anche una questione di educazione e di morale”, che tutti gli italiani devono conoscere e comprendere a fondo. “Lo Stato Italiano è stato una dittatura feroce”, diceva Gramsci, “che ha messo a ferro e fuoco l’Italia Meridionale e le isole, squartando, fucilando, seppellendo vivi contadini poveri che scrittori salariati tentarono di infangare chiamandoli Briganti”. Una storia celata, scomoda, ma pur sempre parte di quel glorioso cammino verso un’Italia unita che, nostro malgrado, continua ancora oggi ad etichettare i suoi figli, ieri come briganti, oggi come terroni.
Paolo Gallinaro