Nell’articolo
firmato da Corrado Stajano sul Corriere dell’11/10/12 con la recensione del
libro di Alessandro Barbero sui prigionieri borbonici nella fortezza di
Fenestrelle, sono state pubblicate alcune affermazioni false, calunniose e
diffamanti riferite ai “neoborbonici”. I “neoborbonici”, infatti, vengono
definiti
“dissennati” o
addirittura “assatanati” oltre che artefici di “invenzioni” e
“strumentalizzazioni”. Il Movimento Neoborbonico è un movimento culturale senza
alcuna finalità politico-elettorale o commerciale nato nel 1993; vanta decine di
migliaia di iscritti e simpatizzanti in Italia e all’estero; titolare del
relativo marchio registrato, ha all’attivo centinaia di manifestazioni,
convegni, mostre e pubblicazioni con migliaia di pagine di rassegna-stampa
presso i media non solo nazionali e con la creazione di una categoria culturale
e storiografica definita negli ultimi anni “neoborbonica”.
Il Movimento
Neoborbonico, pertanto, con il proprio ufficio legale, preannuncia, suo
malgrado, una querela contro l’articolista e il quotidiano Corriere della Sera
in mancanza di una smentita circa le asserzioni citate, al solo fine di tutelare
la sua onorabilità: nel caso in questione, infatti, è del tutto arbitrario,
immotivato e decontestualizzato (trovandosi nell’ambito di un dibattito
storiografico e nell’ambito di un dibattito storiografico tutt’altro che
risolto) utilizzare la terminologia utilizzata nell’articolo e riferibile a chi,
in circa 20 anni, ha semplicemente realizzato e divulgato ricerche anche sulla
complessa questione di Fenestrelle e sulle deportazioni, la detenzione e le
drammatiche conseguenze a danno di migliaia di soldati borbonici durante
l’unificazione italiana. Nello stesso tempo, si allega alla presente
comunicazione un intervento storiografico-archivistico in risposta ai temi
esposti nell’articolo in oggetto.
Analoga
comunicazione è stata inviata al prof. Alessandro Barbero per quanto
dichiarato nell'articolo e per quanto pubblicato
nell'introduzione del libro di J. Bossuto e L. Costanzo (Le catene
dei Savoia, 2012) con riferimento alla pubblicistica "neoborbonica" che avrebbe
"confuso le idee", reso "selvaggi e parziali i dibattiti", con "invenzioni non
si sa quanto in buona fede", a "uso e consumo delle passioni e degli interessi
del presente" e per quanto pubblicato nel suo testo (I prigionieri dei
Savoia, pp. 311 e sgg.) in cui, al di là delel gratuite ironie su ricercatori e
artefici di commemorazioni, utilizza una terminologia offensiva e inappropriata
sempre riferendosi ai neoborbonici, citando anche testi del sito
dell'Associazione Culturale Neoborbonica e mescolando citazioni dal "mare
magnum" di internet, fonti archivistiche, passi della Civiltà Cattolica (la
rivista dei Gesuiti artefice prima delle "menzogne") e brani dei (documentati)
testi di Del Boca, Izzo, Di Fiore o Aprile ("spudorate reinvenzioni", "furibonde
mistificazioni", "impudicizia", libri "incredibilmente pubblicate da case
editrici nazionali" fino addirittura all'affermazione che chiude lo stesso libro
con l'invito a non "stravolgere il proprio passato per fini immondi") (p.
316).
Ufficio Legale
Movimento Neoborbonico.
Napoli
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Fenestrelle, verità e rispetto per i Soldati Napoletani
e per i Neoborbonici
Alessandro Barbero (docente di
storia medioevale e romanziere piemontese) ha scritto un libro per “raccontare
la verità su Fenestrelle”. Siamo, ovviamente, in attesa di leggere il libro in
uscita in questi giorni (OVVIO IL SUGGERIMENTO DI EVITARE DI ACQUISTARLO) ma già
secondo la recensione pubblicata sul Corriere (Corrado Stajano, 11/10/12), “il
libro non offre un’analisi storica complessiva” e ricostruisce le vicende dei
soldati borbonici imprigionati nel forte sabaudo “con una minuzia eccessiva”.
Qualche osservazione è necessaria per chiarire la posizione di quei neoborbonici
che nell’articolo vengono definiti “dissennati” o addirittura “assatanati” e
artefici di “invenzioni” e “strumentalizzazioni”. E’ forse un’invenzione
neoborbonica o della Civiltà Cattolica (rivista dei Gesuiti accusata dall’autore
di aver raccontato molte menzogne sul tema) che circa sessantamila soldati
dell’esercito napoletano furono arruolati nell’esercito italiano “in ogni modo”
(parole e cifre dell’articolista)? E’ falso che essi furono deportati con viaggi
lunghissimi e spesso drammatici in “campi di concentramento-lager” (questo il
termine -piaccia o no- più appropriato) come quelli di Fenestrelle o di San
Maurizio, Alessandria, San Benigno, Bergamo, Milano, Parma, Modena o Bologna? E’
forse un’invenzione che molti di loro portavano addosso “cenci e uniformi
leggere” e furono trasportati nel gelo delle Alpi o altrove solo perché “si
ostinavano a non tradire il giuramento” fatto al loro legittimo Re e
continuavano a “dirsi napoletani”? E quale diritto consentiva o avrebbe
consentito questa scelta di un governo contro un governo legittimo senza neanche
una dichiarazione di guerra? A cosa si legava quella “decisione del governo di
Torino di arruolare subito nel’esercito italiano” quei soldati? E’ da
“dissennati o assatanati” pensare che quella decisione si legava proprio al
fatto che il governo di Torino avrebbe potuto trattarli, punirli o tenerli in
prigione (dopo “aspri conflitti”) come disertori piuttosto che come prigionieri
di guerra “con le garanzie a cui avevano diritto”? E poi una domanda banale ma
opportuna: perché, se non ci fosse stata una volontà punitiva e coercitiva,
invece di organizzare costosissimi viaggi e campi-prigione, non chiedere a quei
soldati “in loco” la disponibilità a passare all’altro esercito e, in caso di
rifiuto, lasciarli liberi? A proposito della mancanza di un’analisti storica
complessiva, poi, già lamentata dal recensore, se pochi anni prima dei fatti in
questione Fenestrelle era sotto accusa per le condizioni “di brutalità assoluta”
in cui vivevano prigionieri (e guardie) in un sistema giudiziario-poliziesco
sabaudo che (come si rileva da un recente testo di cui il prof. Barbero ha
scritto anche l’introduzione), prevedeva “la rottura di ossa, le decapitazioni
con le teste recise accanto alle braccia e nelle gabbie” (abitudine consolidata
e duratura, come dimostrano le “decapitazioni per comodità di trasporto”
praticate ai danni dei nostri “briganti” post-unitari dai soldati piemontesi:
cfr. Busta 60 Fondo Brigantaggio Ufficio Storico Stato Maggiore dell’Esercito
Italiano), in quale momento storico la stesso sistema avrebbe trasformato
Fenestrelle in un albergo a cinque stelle? E se fosse stato tutto così
“umanitario e caritatevole”, perché mai quei prigionieri avrebbero scelto il
suicidio lanciandosi in mare durante i viaggi (cfr. “L’Armonia”, 1861) o i
rischi di un complotto? Il processo, come afferma Barbero, avrebbe portato gli
imputati al “rinvio ai loro corpi militari” ma questo, come si è detto, non
rappresentava automaticamente per loro una liberazione. La ricerca archivistica,
come sa bene chi frequenta gli archivi per decenni e assiduamente, è spesso una
ricerca “in negativo”: sono più numerosi, cioè, i documenti che mancano e che o
sono scomparsi o sono altrove, piuttosto che quelli che abbiamo la fortuna di
ritrovare. E se ci risulta un documento in cui un ufficiale racconta la
nostalgia di un militare borbonico con umanità, quanti ufficiali non hanno
raccontato il loro disprezzo (o le loro punizioni) verso gli stessi soldati?
Del resto, più “illegali” erano le pratiche finalizzate alla punizione o alla
eliminazione di quei soldati nemici, meno sono le “prove” archivistiche
rintracciabili, come ci dimostrano storie e stermini anche più attuali (quali
archivi conservano i documenti di tutti i morti dei massacri nazisti o
comunisti?). E il problema resta e resiste addirittura ancora nel 1872 se il
governo italiano trattava la complicata questione della costituzione di una
“colonia penitenziaria” prima in Patagonia, poi in Tunisia, sull’isola di
Socotra o in Borneo… Evidentemente si trattava ancora di migliaia di
“refrattari” con la progressiva e drammatica aggiunta dei nostri “briganti”.
Quello che non torna, dopo tanti (troppi) anni è il numero dei nostri soldati:
se, come si afferma anche nell’articolo, ben sessantamila soldati furono
trasportati, deportati, ricoverati, arruolati o imprigionati al Nord, quanti di
essi furono effettivamente assassinati, fucilati o feriti? Quanti di essi
morirono nelle carceri o nei campi di concentramento-lager dei Savoia? Quanti ne
morirono per quelle ferite o dopo le malattie inevitabili per la promiscuità e
la durezza delle condizioni imposte? E se qualcuno sostiene che a casa vi
tornarono (ma i riscontri effettuati finora presso gli archivi locali sono
negativi e drammatici) o che furono arruolati nel nuovo esercito, perché oltre
10 anni dopo, ancora si cercava di spedirli, a migliaia, in Patagonia? E cosa
gli successe dopo i (vani) tentativi di esiliarli visto che non c’era,
evidentemente, la volontà di liberarli? E’ certo, allora, che le ricerche devono
continuare, ma è altrettanto certo che molte (troppe) migliaia di nostri soldati
(in grandissima parte giovani e giovanissimi: il cuore materiale e morale della
società meridionale post-unitaria) furono vittime incolpevoli e dimenticate di
un’unificazione realizzata con troppi errori e in una storia, “un’altra
terribile storia”, come scrisse efficacemente Paolo Mieli proprio a proposito di
Fenestrelle (Corriere, 11/10/04), che abbiamo il diritto e il dovere di
conoscere rispettando quei soldati borbonici del passato (uno, cento o
trentamila poco importa) e rispettando chi oggi cerca semplicemente di
ricostruire e raccontare la loro storia nonostante offese e insulti gratuiti e
immotivati.
Prof. Gennaro De Crescenzo
Movimento
Neoborbonico,
Napoli