Un giovane storico, una vecchissima tesi e un altro libro da non comprare.
Ancora un altro (l’ennesimo) saggio sul Sud ma contro il Sud scritto da un “giovane storico”, come lo definisce la recensione/intervista pubblicata in questi giorni dal Corriere del Mezzogiorno e con un titolo a tutta pagina molto chiaro (“Tutta colpa del Sud”). Dopo i testi pubblicati, tra gli altri, dai Cazzullo, dai Barbero, dalle De Lorenzo o dai Rizzo&Stella, ancora un saggio che da un lato, e per fini chiaramente pubblicitari, vorrebbe essere “provocatorio”, dall’altro ripete in maniera stanca e monotona le tesi di molti degli autori già citati. Si tratta di “Perché il Sud è rimasto indietro” di Emanuele Felice che, ovviamente, vi invitiamo a non comprare: ne acquisteremo una sola copia per le dovute analisi e la metteremo a disposizione gratuitamente di chi vorrà eventualmente leggerlo. Resterà scolpita per sempre nella nostra biblioteca universale una delle frasi più originali degli ultimi decenni: “Il Sud non può essere assolto per il suo ritardo, anzi se ne deve assumere tutte le responsabilità se vuole andare avanti” [come se da oltre 150 anni l’autoflagellazione non fosse già lo sport preferito dai meridionali]; evidentemente profonda e innovativa anche l’analisi che porta “il giovane storico” ad affermare che “nel Sud dominano la criminalità organizzata, il clientelismo, la violazione del diritto, tutte eredità del precedente regno borbonico che si trasmettono al nuovo stato unitario”. Ovviamente, poi, “tutti quelli che [presumibilmente si tratta di neoborbonici e/o di neo-terroni “seguaci” di Pino Aprile] vanno in giro dicendo che il Sud è rimasto indietro per colpa di altri (dei settentrionali)” sarebbero i veri colpevoli dei mali del Sud. Se è vero che “nessun’altra parte del mondo avanzato è oggi ridotta come il Sud”, è vero, per il “giovane storico”, che “il dibattito pubblico è dominato da una gigantesca operazione mistificatoria che tende ad assolvere i misfatti dei ceti dirigenti meridionali, misfatti reiterati da due secoli” [ma qui l’analisi manca di approfondimenti che avrebbero consentito, forse, di scoprire colpe più che secolari fino a risalire ad un dna di stampo inferiore per la razza napoletana/meridionale…]. E così, allora, “le classi dirigenti predatorie hanno costruito una narrazione della vicenda meridionale falsa ma vincente che ha fatto presa nella società e ha reso le riforme più difficili: si pensi alle favole sul regno borbonico benevolo e avanzato e alle spropositate accuse di sfruttamento rivolte ai settentrionali” (la solita tesi dell’atteggiamento “auto assolutorio”): eppure non ci risulta un solo nome (uno solo!) di politico e/o intellettuale “borbonico” più o meno da 150 anni. Eppure, dopo un secolo e mezzo, solo negli ultimi anni si stanno facendo strada (con successi editoriali clamorosi come quelli di Pino Aprile e il suo Terroni) tesi che, neoborboniche o meno, stanno ricostruendo in una luce diversa la storia delle Due Sicilie e dell’unificazione. Eppure per oltre un secolo e mezzo, in regime di monopolio culturale assolutistico, ci è stato esattamente raccontato fino alla nausea tutto quello che l’autore ci racconta oggi. Il punto più debole del discorso, del resto, è proprio questo: al contrario di quanto afferma il “giovane storico”, dati e nomi e cognomi alla mano, non esiste alcuna continuità tra le classi dirigenti borboniche e quelle unitarie. Furono arrestati, processati, licenziati, messi in prigione o davanti ad un plotone di esecuzione, tutti quelli che vagamente si mostravano legati al vecchio regime: dati del fondo Questura dell’Archivio di Stato di Napoli alla mano, vennero licenziati finanche i bigliettai delle ferrovie sorpresi semplicemente a comprare giornali “reazionari” e si poteva essere processati per “borbonismo” ancora agli inizi del Novecento se solo si scrivevano canzoni ironiche su Garibaldi (capitò al grande poeta Ferdinando Russo). Eppure l’autore ha il coraggio di sostenere la tesi di classi dirigenti colpevoli e “borboniche” quando è vero l’esatto contrario con la formazione di classi dirigenti unitarie effettivamente inadeguate, corrotte e capaci di difendere da allora ad oggi unicamente i propri interessi strettamente collegati agli interessi delle classi dirigenti nazionali e che dal 1860 ad oggi hanno fatto e fanno dell’antiborbonismo il test d’ingresso nella classe dominante. Punto ancora più debole, allora, la tesi dell’arretratezza delle Due Sicilie: nonostante gli studi più documentati e aggiornati di autori come quei Daniele, Malanim, Fenoaltea, Tanzi o Collet che siamo costretti a citare ogni volta che viene pubblicato un testo come quello di cui stiamo parlando e che pure hanno dimostrato le “pari condizioni” o la superiorità del Sud rispetto al Nord in quanto a redditi medi, a PIL o a industrializzazione, l’autore non rinuncia ai luoghi comuni più abusati nelle questioni affrontate proprio perché la rinuncia a queste convinzioni dimostrerebbe l’infondatezza della tesi originaria (“è colpa del Sud”, “è stata sempre colpa del Sud”…) e che, con modalità e stili diversi, negli ultimi tempi sembra essere un vero e proprio “mantra” presso la storiografia “ufficiale” fino al consueto “il Sud ora si arrangi o faccia da solo” che ha connotato e connoterà la politica più recente. Venature inquietanti di razzismo affiorano nell’autore nonostante le sue origini meridionali quando afferma che “l’ltalia di oggi somiglia di più alle Due Sicilie che non al Piemonte” (eppure gli sarebbe bastato dare un fugace occhiata alla monumentale opera del Landi sulle istituzioni borboniche o a diritto e codici delle nostre parti) o quando, incalzato (si fa per dire) dalla giornalista autrice dell’articolo, arriva addirittura a sostenere in purissimo stile padano e come se si trattasse di un pericoloso e contagiosissimo virus, che “i mali del Sud si sono estesi al Nord anche per alcuni eloquenti dettagli (si pensi a Bossi che fa eleggere il figlio)” con uno dei più classici esempi di quel “familismo amorale” di cui solo sotto il Garigliano si annoverano i più fulgidi esempi. Né più né meno quello che affermavano e affermano i Giorgio Bocca o i Calderoli che proclamavano e proclamano con fierezza il loro razzismo. Leghisti del Nord, allora, accomunati ai leghisti del Sud (nonostante da queste parti manchino testimonianze della loro esistenza più o meno da 150 anni) nella difesa “del proprio territorio e del proprio recinto” e del tutto “diversi da quei settentrionali che hanno fatto l’unità d’Italia” [nonostante manchino testimonianze di un solo provvedimento pensato e realizzato a favore del Sud durante gli anni dell’unificazione]. E così “chi ha voluto cambiare le cose è stato sistematicamente sconfitto” [non sappiamo se per mero e secolare accanimento del Fato o per mera e genetica inferiorità delle masse meridionali nemiche del nuovo, come sarebbe piaciuto sottolineare ad un Cesare Lombroso]. Le soluzioni? Anche qui l’autore si mostra veramente innovativo e originale: “un massiccio intervento esterno che imponga regole meritocratiche” [magari, suggeriremmo noi, un migliaio di stranieri di varia provenienza possibilmente in sgargianti camicie rosse] e che spezzi la connivenza tra le classi dirigenti meridionali e la criminalità” [in pratica quello che si proclama da oltre 150 anni, come se la criminalità non fosse stata -dal 1860 in poi- e non fosse -come dimostrano le recenti indagini sui rapporti Stato/mafia- funzionale ad un intero sistema nazionale]. Manca, nelle parole dell’autore, e ci permettiamo di suggerirlo noi, qualsiasi riferimento ai massacri subiti dalle popolazioni meridionali nella famosa guerra del “brigantaggio”, una guerra che avrebbe potuto determinare la fine di tutti i problemi e dei mali del Sud (e la fine degli artefici di quei mali e cioè i meridionali) se solo le truppe piemontesi avessero continuato la loro opera e non l’avessero fermata dopo circa dieci anni… Piove? Tutta colpa del Sud, allora... e vi suggeriamo di applicare questa formula in qualsiasi situazione. Con interviste di questo tipo e con queste premesse è impossibile non ripetere il democratico (ed efficace, visti gli ultimi risultati riscontrati in casi simili) appello iniziale: non compriamo questo libro ed evitiamo anche di parlarne…