LA SECESSIONE
CONSENSUALE
ovvero
DEMOCRATICA
L’indipendenza della “padania” ed il pericolo Neoborbonico
di
Alessandro Romano
Quella della secessione della “padania” è una questione che in questi giorni sta riempiendo più del solito le cronache italiane. Anche se finora l’argomento è stato utilizzato più come un ricatto, uno spauracchio che come una imminente realizzazione, qualcuno anche da Sud ha cominciato a dare segni di impazienza ed a manifestare apertamente di condividere la necessità di dividere il territorio dello Stato Italiano ricalcando a grosse linee gli antichi confini.
E fin qua, trattandosi di estemporanee esternazioni, di sogni e di teoriche aspirazioni, si resta nella normalità dei principi di libertà di pensiero e di espressione previsti dalla Costituzione dello Stato italiano a cui tutti, fino a prova contraria, siamo, nel bene e nel male, sottoposti.
Tuttavia, la classe dirigente che detiene saldamente le redini della cultura e della politica italiana, da qualche tempo ha lanciato l’allarme, sostenendo che ai minacciosi abbai di un isolato partito del nord ingordo, razzista, egoista ed ignorante, corrisponde un reale “pericolo” proveniente, nientemeno, da Sud rappresentato da un diffuso sentimento secessionista che affonda le proprie radici in una cultura ed in un’identità reali e non inventati.
Nell’incertezza e nei dubbi di questo dualismo, molti vorrebbero conoscere il pensiero proprio di chi, da anni, si batte per risollevare le sorti, non solo economiche, di una Terra gestita tutt’oggi da una classe dirigente sfacciatamente “nord-dipendente” e da questa sottomessa ad una soffocante colonizzazione economica e finanziaria e ad una vergognosa prostrazione politica e culturale.
Certo è che anche da Sud molti sono gli abbai, soprattutto e per fortuna da parte chi non è in grado di gestire nemmeno se stesso, ma altrettanto certo è che, effettivamente, è sempre più diffuso un risentimento verso uno Stato patrigno che per anni ha fatto l’elemosina alla parte conquistata solo affinché restasse nelle condizioni di miserrima sudditanza. Ciò non per pura cattiveria, ma per una concreta, anche se sleale, concorrenza commerciale. Una classe dirigente con le radici ben piantate al Nord e le “succursali” al Sud, con in mano da 150 anni il timone dello Stato e dell’economia alla faccia delle esigenze e delle aspirazioni di tutto il resto del Paese.
Ma a parte i “cani sciolti” che abbaiano alla luna, il resto del Sud meridionalista cosa ne pensa? E davvero messa in pericolo l’unità territoriale dello Stato Italiano?
Prima di dare una risposta, occorre necessariamente precisare che, a parte ciò che ulula la Lega, l’attuale Costituzione dello Stato italiano non consente alcun tipo di secessione, intesa come distacco politico ed amministrativo dalla corpo principale del Paese. Pertanto, nessuna legge né, tanto meno, nessuna deliberazione regionale o pluriregionale potrebbe prevedere la secessione di in uno o più pezzi dall’attuale Italia.
Se ciò avvenisse, all’atto della proclamazione di indipendenza, lo Stato sarebbe messo nelle condizioni di reagire per “difendere e tutelare” l’integrità territoriale imposta e difesa dalla Costituzione.
Non c’è bisogno di essere degli esperti per comprendere cosa possa significare “reagire”. Nella storia postunitaria, a parte la guerra di resistenza del Popolo Meridionale all’invasione piemontese ed alla ribellione siciliana del 1866, l’unica concreta azione secessionista, anche armata, fu quella messa in opera da Finocchiaro Aprile che, per questo, fu arrestato ed i militanti del suo movimento perseguiti nei tribunali. E’ da dire, però, che il grande seguito che il Movimento Indipendentista Siciliano ebbe, nonostante la severa reazione dello Stato, generò i suoi effetti che ancor oggi possiamo osservare nella pronunciata anche se, purtroppo in parte non applicata, autonomia siciliana.
Ed allora, finché di secessione ci si limita a parlare, restando nell’ambito delle millanterie venatorie, delle mitologie della pesca sportiva e delle ciarle da campi di bocce, niente accade, ma nel momento in cui si passa ad un dato di fatto e si attivano “iniziative atte a minacciare l’integrità della nazione”, il discorso cambia e notevolmente, essendo una grave violazione della Costituzione.
Qualche mese fa, alle intimazioni giunte dalla presidenza della Repubblica italiana circa la trita e ritrita “autodeterminazione dei popoli padani” ha reagito in modo insulso Calderoli, minacciando un non meglio identificato referendum per la secessione. Reazione che è stata prontamente redarguita da Lucio Villari che ha sottolineato: “Per la Costituzione non si può sottoporre a referendum l’indivisibilità della nazione”.
Alla luce di quanto ufficialmente dichiarato (e finora mai era successo), cosa adesso vorrebbero proporre “i saggi” della Lega? Muovere guerra a Roma?
Diceva Don Paolo Capobianco che di guerre ne abbiamo fatte fin troppe e tutte sistematicamente perdute, ora è il tempo della verità, del dibattito e della giustizia che si raggiungono solo con la pace e la concordia. E questo è diretto proprio a chi invoca una non meglio individuata indipendenza, sapendo di ingannare se stesso e gli altri.
Ed allora, nello specifico, come viene trattato questo argomento negli ambienti neoborbonici?
Idea condivisa è che se lo Stato Italiano non si deciderà in fretta a ridistribuire la “ricchezza nazionale reale” su tutto il territorio, si potrebbe innescare un processo centrifugo irreversibile della parte più povera del Paese tendente all’indipendenza ed alla dichiarazione politica dello “staus quo ante”. Tuttavia “riannodare il filo della storia” dove 150 anni fa fu spezzato a colpi di cannone e di tradimenti, sicuramente farebbe giustizia alla dignità ed alla memoria di un intero Popolo, è vero, ma allo stato attuale comporterebbe uno sconvolgimento tale da causare sacrifici di gran lunga maggiori delle attuali tragedie e non consentirebbe di ricolmare in tempi ragionevoli il gap economico e sociale generato dall’attuale classe dirigente, “ciuccia e venduta”, e gli enormi divari generati da 150 anni di malgoverno. Senza parlare delle mafie che, essendo le uniche ad essere organizzate e ad avere capitali disponibili, avrebbero campo libero.
Pertanto, se necessiterà giungere al punto di rottura definitivo, occorrerà percorrere prima una strada lunga, ma sicura, non certo “una rivoluzione” propriamente detta. Occorrerà prima ricostruire la coscienza identitaria del Popolo, infondere nelle nuove generazioni orgoglio e speranza e puntare, se necessario, ad una secessione democratica che avvenga dopo una modifica della Costituzione.
Quando un intero popolo, tenuto meccanicamente unito ad un altro opulento e prepotente, vuole definitivamente e coscientemente mettere termine ad una insostenibile separazione in casa che dura da 150 anni, può chiedere o l’unione vera, paritetica e definitiva (vedi la Germania) oppure il divorzio “consensuale” attraverso la modifica democratica della carta costituzionale.
Il nostro Popolo, potenzialmente, se vuole ha i numeri sufficienti per apportare una tale sostanziale modifica. La “padania”, regione relegata nei suoi inesistenti confini paludosi, no. Ecco perché, “secondo loro”, il vero pericolo viene solo da Sud.
I “padroni della politica” fra un po’ staranno di fronte ad un bivio: “Qua o si fa l’Italia (quella vera, e non più a due velocità) o si muore (senza le ricchezze del Sud che se ne va per i fatti suoi)”.
Altro che Lega, Bossi, Maroni “padania” ed autodeterminazione dei popoli: la vera minaccia per costoro siamo noi.