" Questione meridionale e Brigantaggio".
Qualche considerazione sul recente e importante dibattito “Questione meridionale e brigantaggio” svoltosi all’interno del Festival Internazionale della Storia. Premessa: dobbiamo continuare (da Pino Aprile ai neoborbonici, fino all’ultimo dei più piccoli gruppi meridionalisti) il nostro prezioso lavoro di ricerca e divulgazione se ancora non abbiamo mezzi e risorse per organizzare magari un Festival come quello friulano e con sale che, con oltre 600 persone e con la graditissima ed affettuosa eccezione di un gruppo di compatrioti del Napoli Club Udine, poco o nulla sapevano dei temi delle nostre ricerche e delle nostre battaglie.
Il lavoro fatto finora, allora, è stato importante e notevole ma, evidentemente, ancora non adeguato per dare una base consistente a qualsiasi altro progetto e non solo culturale al Sud come al Nord. In sintesi, quello che colpisce, però, è la sostanziale fragilità delle tesi “avversarie”. Il moderatore Gennaro Sangiuliano (vicedirettore napoletano del TG1) ha sistematicamente esibito la consueta tecnica del “sì, però…” contro quello che ha definito “il meridionalismo dell’autoassoluzione” (“non possiamo incolpare gli altri delle nostre colpe… abbiamo avuto presidenti del consiglio e ministri del Sud”). Poco importa a Sangiuliano se chi è stato chiamato a rappresentare il Sud ha difeso interessi suoi e quelli di un sistema nord-centrico (cfr. l’ultimo saggio del prof. Paolo Macry, “Unità a Mezzogiorno”), poco importa se i presidenti del consiglio meridionali sono stati meno di un quinto di quelli non meridionali, poco importa se tutti noi abbiamo sempre associato la denuncia di massacri e saccheggi a quella delle complicità colpevoli di classi dirigenti di cui sopra e di cui lui stesso è rappresentante autorevole (altro che “autoassoluzioni”…).
Tutto sommato, sorprendenti gli interventi di Alessandro Barbero: nessuna citazione del suo libro, nessuna risposta alle sollecitazioni in merito alle verità sui prigionieri borbonici (forse per timore di scivolare nella spigolosa questione storiografica-archivistica con le numerose lacune già sottolineate nel confronto di Bari?): qualche vaga considerazione sulla difficoltà di fare storia “serenamente” in Italia (da che pulpito… considerato il tono delle accuse pubblicate nel suo libro), qualche vaga difesa (di fronte agli attacchi di un Pino Aprile più che mai in grande forma, carico e brillante) degli storici ufficiali che avrebbero sempre “parlato di saccheggi e massacri” (ma non nei testi scolastici!), qualche considerazione sulla complessità del fenomeno-brigantaggio che, secondo lui, sarebbe stato anche “endemico” [ma mai nella storia del Sud erano stati necessari oltre 200.000 soldati per debellarlo], era “finanziato da Francesco II” [due domande logiche: con quali soldi, visto che aveva lasciato a Napoli finanche i suoi risparmi? E perché mai -come già sostenne Calà Ulloa- il cuore del brigantaggio sarebbe stata la Basilicata e non l’Abruzzo così vicino anche allo Stato Pontificio?], sarebbe stato il sintomo di una antica “lotta di classe e agraria” [misteriosamente partita il giorno stesso dell’arrivo di Garibaldi a Napoli?].
Così Barbero, allora, attribuisce a interpretazioni parziali e attuali la visione di quel brigantaggio come lotta nazionale e borbonica [e i documenti degli archivi militari e civili, del Sud come del Nord dimostrano l’esatto contrario] contrapposta all’adesione di molti meridionali al “progetto unitario” [mentre i documenti dimostrano l’impercettibilità dei dati relativi ai garibaldini meridionali, degli “ascari” della Guardia Nazionale -consueta presenza di tutte le colonizzazioni- o di quegli esuli che rinnegarono la loro antica Patria e la loro gente spesso pentendosene tardivamente]. Del resto la confutazione della tesi della rivolta per i Borbone e per la Patria delle Due Sicilie è il cavallo di battaglia di tutti gli storici ufficiali perché quella rivolta dimostra la debolezza della tesi di fondo costitutiva dell’Italia: si trattò di un’invasione non voluta al Sud e contro la quale si ribellarono soldati e non soldati, “briganti e non briganti” per dieci anni e su tutto il territorio nazionale delle Due Sicilie.
La stessa tesi, del resto, è stata portata avanti da Lucy Riall, docente di origini irlandesi e di cultura inglese che nel corso della serata ha fatto alcune dichiarazioni che meritano di essere analizzate. “Non dovete fare politica” [premesso che nessuno di noi si è mai candidato da qualche parte negli ultimi 150 anni, a che serve una storia fine a se stessa e senza collegamenti con il presente se, tra l’altro, mai come in questo caso parlando di questioni meridionali, molte scelte dimostrano una continuità drammatica e le conseguenze delle scelte del passato sono ancora vive sulla pelle dei meridionali? E’ come se qualcuno custodisse una grande biblioteca con diritto esclusivo di consultarla e senza possibilità di accesso per gli estranei: tanto varrebbe bruciarla…]; il Regno delle Due Sicilie “collassò da solo” [una tesi superata dall’accertamento della traumaticità di quello che subì il Sud e mentre lo stesso Croce sosteneva che il Regno era “crollato per un urto traumatico esterno”]; il governo borbonico “restava uno dei più spietati del mondo con le sue condanne a morte” [in contrasto evidente con la verità dei documenti: 113 le condanne a morte nel Piemonte tra il 1851 e il 1855, nessuna nelle Due Sicilie]; “una sola nave non faceva la differenza economica” [mentre non si trattava di una sola nave ma di un’intera flotta, prima in Italia e terza in Europa per tonnellaggio e traffici]; “le industrie del Sud e del Nord erano poca cosa rispetto a quelle del resto del mondo” [ma in questa sede si sta approfondendo il divario tra quelle del Nord e del Sud dell’Italia e conta non poco la potenzialità cancellata delle fabbriche del Sud dopo il 1860 con un numero di addetti e una varietà di produzioni superiori a quelli del Nord]; “scorretto citare le frasi razziste di D’Azeglio e degli altri perché si deve sempre contestualizzare: anche gli inglesi definivano gli irlandesi ‘scimmie verdi’ ma oggi dobbiamo capire perché” [per quanto sconcertante, l’affermazione è anche immotivata: se uno è razzista e razzista, a prescindere da dove e come ha definito “carogne o feccia” qualcuno]; “la storia va letta con serenità, freddezza e distacco” [al di là dell’aplomb britannico, alla Riall ovviamente non deve far male il pensiero che i cittadini di Pontelandolfo morivano “abbrustoliti nelle loro case” o che i piemontesi avessero “il diritto di decapitare i briganti per comodità di trasporto” e nessuno ce lo aveva mai detto…]; chicca finale, poi, l’affermazione secondo la quale in fondo “Garibaldi venne acclamato dal popolo in tutto il Sud” [come se il prof. Eugenio Di Rienzo, suo collega universitario, non avesse scritto il suo monumentale e documentatissimo libro nel quale è evidente il ruolo degli inglesi nell’unificazione o come se non fosse ormai più che dimostrata l’importanza dell’accordo stipulato con la mafia e la camorra che garantirono quelle “acclamazioni” in cambio di un potere ancora drammaticamente attuale].
A conti fatti, di fronte alle lacune soprattutto archivistiche degli storici ufficiali spesso rimasti ancorati a teorie e tesi di 50 o 100 anni fa, il Festival della Storia ha dimostrato ancora una volta, oltre alla necessità di continuare il nostro lavoro di ricerca e divulgazione collegando (piaccia o no alla Riall) passato e futuro, la possibilità di vincere (e anche in trasferta) la nostra battaglia culturale.
Gennaro De Crescenzo
Pino Aprile e Gennaro De Crescenzo
Veri e grandi paladini della nostra Identità