QUANDO LA PATRIA NAPOLITANA NON SI ARRESE
Dopo novantaquattro giorni di duro assedio, di cui due mesi di bombardamenti effettuati con il lancio alla cieca su Gaeta di granate con spolette esplodenti a massima carica, dopo l’avvelenamento delle condotte idriche di Monte Conca, situate al di là delle linee piemontesi, e la conseguente epidemia di tifo scoppiata tra le truppe e la popolazione assediata, nonostante la determinazione di militari e cittadini di proseguire comunque nella resistenza, S.M. il Re Francesco II decise di porre fine all’eroica difesa del Regno.
Resistere ancora alla devastante guerra mossa da quell’armata di predoni che, senza alcuna dichiarazione di guerra, aveva aggredito a tradimento uno stato indipendente, ricco e pacifico, avrebbe solo accresciuto inutilmente le sofferenze di quegli uomini e di quelle donne che difendevano con ardimento la loro antica Patria Napolitana.
D’altronde l’incredibile pioggia di bombe che giorno e notte martoriava i contrafforti, i palazzi, le chiese e le case dell’antica e splendida città di Gaeta, faceva parte della nuova concezione di guerra introdotta dalla “rivoluzione ateo-liberale”, di cui era una degna rappresentante quella soldataglia lì fuori al soldo di Savoia.
Non aveva senso per gli assedianti, scomunicati portatori di un’etica militare aberrante, fare una guerra basata sulle antiche regole cavalleresche che impedivano agli eserciti di coinvolgere, anche se indirettamente, la popolazione civile.
L’ordine era di prendere Gaeta, al di là dell’onore militare, delle “linee di avanzamento” o di assalti alle mura: costi quel che costi alla città ed ai suoi abitanti. E così fu.
In quei tre mesi di inferno, Gaeta subì una devastazione senza misura e senza precedenti da parte di un nemico che mai osò spingersi fin sotto le mura della Piazzaforte né, tanto meno, cercò di conquistare attraverso una leale battaglia campale. Gli “eroi”, scesi da nord a depredare e saccheggiare, preferirono mettersi al sicuro dietro le colline e bombardare alla cieca, giorno e notte, la nostra gente, la nostra Patria, la nostra civiltà, uccidendo, bruciando e distruggendo tutto.
La ferocia, l’odio ed il livore di chi veniva a spogliarci, raggiunse l’apoteosi durante le trattative per la capitolazione di Gaeta.
Mentre gli ufficiali dei due schieramenti stavano espletando le procedure di firma del documento di resa, il Cialdini ordinava di fare fuoco senza sosta, accrescendo all’inverosimile l’intensità del bombardamento. La risposta che egli freddamente diede a chi gli faceva notare l’inutilità e le responsabilità di fronte a Dio ed agli uomini di quella strage fu: “Sotto le bombe si tratta meglio”. E a chi ancora riferiva del tragico coinvolgimento di civili inermi, di ospedali e feriti egli confermava: “Le mie bombe non hanno occhi”.
Fu così che il 13 febbraio del 1861 un’immensa ed infernale pioggia di proiettili di ogni calibro e potenza investì la città: le case, le strade, gli ospedali, le chiese, i monumenti, la gente e l’intera linea di terra, dove ormai ogni difesa si era mitigata in attesa degli ambasciatori, crollarono definitivamente.
Tale evenienza consentì agli invasori di esporsi al di fuori dei loro trinceramenti e di meglio puntare le loro potenti artiglierie rigate. In una salve infernale colpirono in pieno la piccola Batteria Transilvania, tenuta dai giovanissimi eroi della Nunziatella. La violenta esplosione che ne seguì travolse anche la Batteria Malpasso, con il relativo deposito delle polveri da sparo, uccidendo tutti i militari, compresi i giovanissimi eroi.
Finalmente alle 18.30 dello stesso giorno le batterie degli assedianti improvvisamente si tacitarono per consentire agli ambasciatori borbonici di rientrare nella Piazzaforte a notificare l’atto di resa.
Sembrava tutto compiuto, ma non fu così. Nuovi elementi stanno oggi emergendo nella faticosa ricerca e ricostruzione storica della resa di Gaeta che, pertanto, appare tutt’altro che scontata.
Come si potrà notare, l’art. 2 dell’atto di capitolazione entra in forte contraddizione con l’evenienza che la mattina del 14 febbraio le truppe di assedio fossero ancora impegnate nella costruzione di una nuova e possente batteria a 6 canoni rigati tipo “cavalli”, nei pressi di Montesecco, a meno di 800 metri dalla Fortezza.
Se, poi, si analizzano alcune stampe e foto di quei giorni si notano combattimenti anche sulla Torre di Orlando, posta sulla sommità di Monte Orlando, che, secondo il citato art. 2 della capitolazione, doveva essere consegnata ai piemontesi senza colpo ferire.
Il compianto Don Paolo Capobianco, citando il regolamento delle Piazze militari del Regno delle Due Sicilie, che accreditava la potestà di resa delle stesse esclusivamente al Re, sosteneva la tesi di una illegittimità di firma nel documento di resa da parte degli ufficiali borbonici.
In pratica, quanto sottoscritto dai Comandanti della Piazzaforte di Gaeta, doveva essere firmato o, comunque, controfirmato dal Re, cosa che di fatto non avvenne mai.
Ciò dato, quasi sicuramente Torre d’Orlando non si arrese e per prenderla fu necessario conquistarla “metro per metro”. Per ovvi motivi di propaganda e per non alimentare le voci sull’illegittimità dell’intera spedizione, l’evento fu tacitato e cancellato dai giornali militari e dalle cronache.
Solo così si spiega il perché degli spari anche nei seguenti giorni 14, 15 e 16 febbraio, il perché della presenza della bandiera Borbonica che, nonostante le “cronache militari piemontesi affermino altro”, il 16 ancora sventolava su alcuni spalti del colle e perché alcuni giornalisti e incisori del tempo ritraggono scene di guerra nei pressi di Torre di Orlando. Per non parlare di alcuni cronisti esteri che, addirittura, “odono il fragore del cannone il giorno 17 febbraio”.
Quanto accadde a Gaeta dopo la resa militare potrebbe sembrare di poco conto, ma in realtà è estremamente importante dal punto di vista del Diritto Internazionale ed avvalora la non legittimità dell’intera operazione comandata dai Savoia.
Se, infatti, l’invasione fu un’azione di pirateria internazionale in grande stile, ovvero un’aggressione militare ad uno stato indipendente, ogni atto discendente senza l’avallo del legittimo governo fu, di fatto, un atto illegittimo.
Allora, che valore poteva avere un documento di resa con tali premesse? Chi e come avrebbe fatto rispettare quanto sottoscritto? Chi il giudice di un’azione di per se già fuori da ogni regola? L’Inghilterra, la vera mandante, oppure la Francia, la sua fiancheggiatrice?
L’assedio certamente cessò, i militari si fermarono, anche se qualcuno, come abbiamo visto, probabilmente continuò fino alla fine, ma la Patria rappresentata dall’augusto Sovrano S.M. Re Francesco II di Borbone non si arrese. Mai.
Nessun trattato o atto di capitolazione dispone una tale evenienza. Lo stesso Re nel lasciare Gaeta diede un arrivederci. E ciò è quanto basta.
E’ questo ancor oggi il grande valore di Gaeta, questo il vero messaggio che la Città Martire porta inciso sulle sue mura ancora intrise del sangue dei nostri Eroi.
Cap. Alessandro Romano