Un pensiero a Roberto Maria Selvaggi nell'approssimarsi del decimo anniversario della sua misteriosa morte.
Non ho l'autorevolezza necessaria per poter parlare di questi due giganti della nostra Causa, ma una riflessione sento il dovere di farla.
L'indirizzo politico-culturale che Zitara ed il barone Selvaggi ci hanno lasciato è profondo ed estremamente significativo.
Zitara, di estrazione progressista, "amava" Roberto Maria Selvaggi, nobile borbonico di estrazione conservatrice che, a sua volta esaltava, ammirava profondamente e sinceramente Zitara. Loro due hanno rappresentato per tutti noi la trasversalità politica della Patria, l'unione di intenti, il coraggio della Fede e la speranza nel riscatto identitario.
Che siano di esempio e monito anche alle nuove leve che tra litigi, maldicenze e pettegolezzi disperdono preziose forze.
Cap. Alessandro Romano
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Roberto Selvaggi
Gli uomini non sono tutti uguali. Roberto Selvaggi apparteneva a una tipologia oggi rara: era un greco antico, un combattente, uno come Ajace, che si dette la morte per non aver ottenuto le armi d’Achille. Il mito vuole che, sospinte dagli Dei pietosi, quelle armi navigarono sulle onde fino agli scogli dell’Ellesponto, per posarsi sulle spoglie dell’eroe. Se mai avverrà qualcosa di simile, noi potremo dire che la morte di Selvaggi è servita a questa nostra terra, alla quale egli ha dato tutto, persino la vita.
Ma di ciò dubito fortemente. I nostri avi, per ben due volte nel giro di sessant’anni svendettero la Patria e la loro dignità di uomini, perché arrivasse qui un esercito di sbirri. Stupidi pulcinella, persero la patria e anche la terra!
Non siamo diversi da loro. Diciamo di amare la nostra antica Patria, però teniamo la mano ben salda sul portafoglio.
Selvaggi era di un altro stampo. Ci chiamò a raccolta, e noi lo seguimmo finché la cosa non costò alcunché. Poi, quando sarebbe stato necessario mettere mano al borsellino, ci siamo tirati indietro. Proprio come quei crociati che volevano liberare il Santo Sepolcro, ma, appesantiti dal bottino e temendo di perderlo, rimisero le vele al vento e se ne tornarono a casa.
Caro Selvaggi, non so se mai potrò portare un fiore sulla tua tomba. Sicuramente, hai le mie lacrime. Oggi, domani, sempre finché vivrò.
Nicola Zitara
Gli uomini non sono tutti uguali. Roberto Selvaggi apparteneva a una tipologia oggi rara: era un greco antico, un combattente, uno come Ajace, che si dette la morte per non aver ottenuto le armi d’Achille. Il mito vuole che, sospinte dagli Dei pietosi, quelle armi navigarono sulle onde fino agli scogli dell’Ellesponto, per posarsi sulle spoglie dell’eroe. Se mai avverrà qualcosa di simile, noi potremo dire che la morte di Selvaggi è servita a questa nostra terra, alla quale egli ha dato tutto, persino la vita.
Ma di ciò dubito fortemente. I nostri avi, per ben due volte nel giro di sessant’anni svendettero la Patria e la loro dignità di uomini, perché arrivasse qui un esercito di sbirri. Stupidi pulcinella, persero la patria e anche la terra!
Non siamo diversi da loro. Diciamo di amare la nostra antica Patria, però teniamo la mano ben salda sul portafoglio.
Selvaggi era di un altro stampo. Ci chiamò a raccolta, e noi lo seguimmo finché la cosa non costò alcunché. Poi, quando sarebbe stato necessario mettere mano al borsellino, ci siamo tirati indietro. Proprio come quei crociati che volevano liberare il Santo Sepolcro, ma, appesantiti dal bottino e temendo di perderlo, rimisero le vele al vento e se ne tornarono a casa.
Caro Selvaggi, non so se mai potrò portare un fiore sulla tua tomba. Sicuramente, hai le mie lacrime. Oggi, domani, sempre finché vivrò.
Nicola Zitara