PANETTONE
NAPOLETANO
Il panettone? Meglio se Napoletano!
L’industria del nord trae profitto dal mercato meridionale. E questo sarebbe il sud palla al piede?
Nell’articolo scritto per napoli.com è illustrata la dinamica perversa che impone prodotti industriali di minore qualità (anche se di minor prezzo) a tutto vantaggio del settentrione “opulento”.
Ma Napoli resiste con le sue peculiarità secolari capaci di ottimizzare anche ciò che non è propriamente partenopeo, e non è un caso che i prodotti per l’esportazione vengano marchiati “Napoli” (con tanto di N napoleonica che tanto ricorda il logo del calcio Napoli), città tanto bistrattata quanto buona per remunerative “operazioni commerciali”.
Quest’anno, a Natale, comprate cassate o struffoli, ma anche Panettoni artigianali napoletani che sono decisamente i migliori. Comprate Sud!
Angelo Forgione per napoli.com
L’arte della panificazione è patrimonio campano da sempre. È per questo che, se il panettone milanese esce dalla catena industriale e diventa artigianale, il migliore è proprio quello che si produce dalle nostre parti e non al nord.
Il panettone artigianale, nelle migliori pasticcerie di Napoli e della regione, va a ruba, e sono soldi spesi davvero bene visti i tanti riconoscimenti ottenuti negli scorsi anni dalle varie giurie specializzate, Gambero Rosso compreso.
Il panettone nasce a Milano intorno alla fine del quattrocento e si diffonde al nord a partire dal Piemonte che ne crea una variante più bassa e larga. Non viene mai abbracciato dalla tradizione natalizia meridionale fin quando, con la crescita industriale settentrionale del periodo post-bellico, il nascente mercato ne “impone” il consumo anche al sud che però ha le sue pecurialità talmente precise da trasformare in meglio qualsiasi cosa possa deliziare il palato. L’artigiano pasticciere campano ha migliorato anche il panettone applicando l’esperienza della lievitazione tipica del territorio napoletano.
Non poteva essere altrimenti in una città come Napoli che ha saputo fare cultura gastronomica a volte con invenzioni, altre con intuizioni e ancora con interpretazioni, riecheggiando poi nel mondo intero con le sue leccornie. Come in ogni campo culturale, anche quello culinario ha beneficiato degli intrecci delle corti europee del settecento e ottocento che coinvolgevano anche quella napoletana. Tutte le novità passavano per l’antica capitale delle Due Sicilie che seppe filtrare il meglio e rioffrirlo al mondo con il proprio tocco magico.Basti l’esempio del caffè che viaggiò dalla Turchia fino a Vienna e arrivò infine a Napoli attraverso la regina Maria Antonietta d’Asburgo Lorena che non volle rinunciarvi nelle sua vita partenopea, e Napoli l’ha poi offerto al mondo a modo suo, nella reinterpretazione di tostatura più apprezzata.
Anche il babà non è un dolce napoletano bensì polacco, inventato alla corte di Stanislao Leszczynsky. I polacchi l’hanno dimenticato, mentre i Borbone lo trovarono buonissimo e i pasticcieri di casa nostra lo reinterpretarono facendone un pilastro della pasticceria napoletana.
E come non citare il piatto principe della nostra terra? Non c’è nessuna certezza che la prima pizza sia Napoletana, ma con i Borbone si attuò nel 700, attorno a Caserta, un’incredibile rivoluzione agricola madre della dieta mediterranea che ha poi codificato la vera pizza con il condimento del pomodoro e della mozzarella, offrendo al mondo il vero cibo globale.
È questa l’incredibile capacità di Napoli di assorbire quel che viene da fuori, rielaborarlo e farlo apparire proprio perché più buono.
E il panettone a Napoli, manco a dirlo, è diventato più buono grazie al lievito madre al posto del lievito di birra. L’impasto a base di acqua e farina viene preparato 10 giorni prima della cottura e fatto lievitare quindi per lungo tempo. Per ottenere un panettone di qualità occorrono tre lievitazioni che si aggiungono a quella iniziale, per 14 ore totali ad ogni fornata. Chi lo prepara così fa dimenticare il prodotto industriale che ingrossa le tasche degli industriali del nord.
È da questo che trae forza il settore gastronomico locale che, per vastità, qualità e bontà, ha eguali solo in Sicilia, non a caso terra gemella fino al 1860. Il brand “Napoli” funziona di più all’estero anche su prodotti come lo stesso panettone che un’importante azienda come la Perugina esporta negli altri paesi targandolo “Napoli” (foto in basso) e non “Milano”.
Nello scenario decadente della città degli ultimi decenni, il settore gastronomico è forse la forza propulsiva a cui si aggrappa una certa economia locale “minore” poggiata su chi sa fare bene il proprio lavoro contrapposto a chi invece cerca solo reddito e profitto senza esigenza di eccellere. Un problema mai affrontato dalle politiche nazionali che invece potrebbero aprire scenari importanti per il meridione se solo ci fosse maggiore equilibrio tra la distribuzione industriale e quella artigianale. Pensiamo per esempio alla mozzarella che nei banconi dei supermercati del sud esiste di ogni marca e colore (nel vero senso della parola) mentre in quelli del nord è raro poter avere il privilegio di trovare quella di bufala campana. Tutto ciò sottolinea una certa imposizione del mercato a favore del nord che spesso lamenta il parassitismo del sud quando invece trae profitto dall’esportazione industriale nel meridione. Uno studio di economisti per conto di Unicredit banca spiega come Campania, Puglia, Calabria e Basilicata abbiano una forte propensione all’importazione di beni da altre aree del Paese.
Un trend che potrebbe essere parzialmente arginato col consumo, natalizio e non, di dolci artigianali della nostra tradizione, evitando prodotti industriali di usanze imposte. Ma se proprio al panettone non si vuol rinunciare, che lo si comperi in qualche buona pasticceria delle nostre dove è anche decisamente più buono. Garantito
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