MARTEDI’ 12 AGOSTO.
Mostra di immagini ceramico-pittoriche del maestro Gennaro Pisco, inaugurazione Palazzo Nanni, 12 agosto, ore 17.30, Campo di Giove, interventi del sindaco Giovanni Di Lascio, di Tiziana Coda (delegata Movimento Neoborbonico), della prof.ssa Pina Laezza e dell’autore Gennaro Pisco.
Note introduttive della mostra. "Madri brigantesse nella reazione legittimista". Il brigantaggio post-unitario nell’Italia meridionale è stato un fenomeno sociale, politico e culturale, dovuto anche e soprattutto all’oppressione che le popolazioni locali (non solo di ceto basso) avevano dovuto subire. Esso fu una vera e propria guerra civile sostenuta e protetta da quella borghesia agraria che si sentiva vessata da un nuovo governo piemontese, il quale, per impadronirsi di un regno ricco, se ne era asservito, promettendo alla stessa ed ai contadini la proprietà assoluta dei terreni. Questa mostra è un piccolo contributo alla storia del brigantaggio femminile che apparentemente potrebbe sembrare meno importante se paragonato a quello maschile, invece, dai vari documenti emersi dagli archivi storici delle biblioteche nazionali, la donna brigantessa risulta essere in alcuni casi più spietata e crudele degli uomini briganti. Molti storici vedono nel brigantaggio femminile una rivolta atavica della donna ai soprusi di una società maschilista e clericale dell’epoca. Potrebbe essere una delle tante conseguenze che vede protagoniste madri imbracciare armi per difendere la famiglia, la terra e proteggere i loro uomini relegati “fuori dalla società”. Occorre però fare una distinzione fra le donne manutengole, più anziane, le quali avevano un ruolo molto importante, in quanto oltre ad essere dedite alla protezione della casa e delle famiglie, alla preparazione di armi e vettovaglie, si informavano degli spostamenti della guardia nazionale e piemontese, le donna brigantesse, che, invece, non erano solo “donne del brigante”, bensì compagne di guerriglie tant’è che vestivano, cavalcavano e sparavano come dei veri uomini, sovente più determinate e feroci, denotando un’espressione liberatoria dalla sottomissione e dall’oppressione millenaria subita. Erano abilissime ad organizzare le bande ed a mettersi a capo di queste, leste nel combattimento nei coltelli e pronte a sparare senza nessuna pietà. Avevano un coraggio da vendere, e brutali con il nemico più degli uomini. Non sappiamo fino a che punto fu un atteggiamento di emulazione e di ostentazione. La brigantessa non era solo madre, amante o druda come veniva considerata dai piemontesi, era anche la donna che si arruolava per difendere la sua terra. La maggior parte di esse, esteticamente, non mostravano caratteristiche dell’essere donna, infatti preferivano indossare abiti maschili per imporsi agli uomini, per non farsi riconoscere dal nemico, per essere più credibile e aggiungerei per comodità nei combattimenti. Dalle rappresentazioni storiche si evincono le varie sfaccettature del suo carattere, si lasciavano fotografare e ritrarre in pose non eleganti, spesso con abiti e atteggiamenti maschili, sguardi truci e armi alla mano. Sotto l’aspetto umano, invece, emerge la donna in tutto e per tutto, Innamorata del suo uomo, fedele, ma soprattutto gelosa, in alcuni casi, uccide senza un minimo di compassione la rivale in amore, fosse questa anche la sorella. Ossequiosa e devota al suo compagno, sopportava e accettava qualsiasi tipo di sottomissione, giustificando persino, da parte dello stesso, l’uccisione di famigliari più stretti, come padri, madri e fratelli.
Maria Oliviero, “brigantessa delle brigantesse”, la più bella e la più crudele. L’unica donna che “meritò” la pena di morte, commutata poi in lavori forzati a vita. Donna di Pietro Monaco che per quattro anni (dal 60 al 64) imperversò tra le montagne di Cosenza e Catanzaro, assassinò la sorella perché era stata l’amante del suo compagno. Era esuberante, con grande vitalità fisica e spavalda bellezza: caratteristiche che la faceva somigliare ad una gitana. Le sue imprese le hanno dato il marchio indelebile distinguendola fra tutte le altre.
Niccolina Ricciardi, donna del brigante Bizzarro che non esitò ad ammazzarlo con estrema freddezza per vendicare l’uccisione del figlio, frutto del loro amore.
In Abruzzo, nei pressi dell’Aquila, viveva Carola, una bellissima brigantessa dal volto olivastro, un fazzoletto di seta rosso intorno al capo e una grossa treccia nera. Era la spia dei due briganti, Giuseppe e Michelangelo Pomponio. Carola, aveva incontrato qualche giorno prima un gentiluomo inglese, un pittore, che rimasto colpito dall’ avvenente bellezza della donna, la invitò a seguirla nella sua dimora. D’accordo con i suoi compagni di malefatte, Carola sarebbe dovuta andare nella casa di Lord Taylor e sgozzare lo stesso per poi avvertire i due banditi e fare irruzione nella casa per derubarlo delle ricchezze.
Carola, giunta presso l’abitazione della vittima, fu colpita non solo dal rimorso, ma anche dagli atteggiamenti amabili e cavallereschi dell’inglese che, forse, finì per innamorarsene. Per la donna fu un grave errore che pagò con la vita insieme a quella del suo amante. Infatti, quando ai due banditi non giunse notizia dalla fanciulla, questi entrarono nella casa e trovarono i due amanti abbracciati. Li pugnalarono nel sonno, fracassarono ogni cosa e scapparono senza nemmeno prendere il denaro.
Insomma, donne dei briganti e donne brigantesse, donne coraggiose, spavalde e impavide, che nell’immaginario collettivo e pittoresco dell’epoca vengono descritte e passano alla storia per “eroine” perché difesero la loro patria, nonostante furono anche donne violente, truci e spietate. Donne che amarono e allo stesso tempo odiarono, che seppero farsi rispettare dai loro uomini e dagli uomini della banda. Donne che difendevano l’amore e donne che difendevano la maternità.
Gennaro Pisco, professore d’arte e cultore di storia meridionalista, mette in risalto nelle sue opere tutti questi aspetti di notevole importanza delle donne brigantesse. Nei suoi quadri è evidente il rispetto per la donna in tutte le sue forme. Donne di guerra e donne d’amore traspaiono dai suoi capolavori, in particolare mette in rilievo l’attaccamento della donna brigantessa alla propria terra, difendendola a qualsiasi costo e considerandola come un membro della propria famiglia. Indipendentemente dalle condizioni sociali, politico-culturali, la donna con il suo coraggio è riuscita sempre ad arrivare laddove sembrava impossibile, tutto questo per le sue grandi capacità innate e grande sensibilità. La Donna emblema di coraggio e simbolo d’amore e di bellezza, continuerà ancora per l’avvenire ad essere la colonna portante e punto di riferimento per la famiglia, per la crescita in generale e la speranza di un grande futuro.
Concludo dicendo: “che in ogni donna vive una brigantessa!”
Tiziana Coda
Gennaro Pisco